Così raddoppia il prezzo del biglietto aereo

Le recenti norme Bersani renderanno ancora meno trasparente la situazione

da Milano

La parola «tassa» è in grado di dare un tocco di ineluttabilità a qualunque somma si richieda. Ma usarla impropriamente, per definire richieste che tasse non sono, dirotta sullo Stato un ruolo che non gli compete: quello di una specie di ombrello protettivo. È il caso delle cosiddette «tasse aeroportuali», di cui si occupano anche le recenti norme firmate Bersani, che con l’intento di trasparenza le occulta ancora di più (dice il nuovo decreto: va comunicato il prezzo complessivo, tariffa e tasse insieme, senza usare la prima come specchietto per le allodole. Messaggio rivolto soprattutto alle pratiche del low cost).
Ma le «tasse», tasse non sono. Almeno in parte. E le compagnie (tutte, con varie graduazioni) usano la furbizia di far sembrare un’imposizione dell’autorità delle poste che invece incassano loro; si trincerano dietro la formula «tasse e sovrapprezzi», che confonde un po’ le idee. Negli anni, queste voci sono lievitate, fino a rappresentare una componente importante del prezzo di un biglietto di breve e medio raggio: in molti casi, e non solo nell’offerta delle compagnie low cost, incidono sulla somma finale per una quota superiore a quella della stessa tariffa. Così il biglietto raddoppia.
La dimensione di queste voci aggiuntive, poi, sconta una contraddizione: se si trattasse davvero di «tasse», dovrebbero essere tutte equivalenti, aeroporto per aeroporto, indipendentemente dai vettori. Invece cambiano, e anche di molto. Prendiamo l’esempio di un collegamento Milano Linate-Londra Hetrow: la voce tasse aeroportuali e supplementi va dai 37,05 euro richiesti al passeggero da British Airways agli 83,21 di Lufthansa, passando dalle cifre più diverse.
Invece le tasse più proprie, quelle fissate con decreto ministeriale, sono uguali per i passeggeri in partenza dai singoli aeroporti. Voci che, per quanto sommate, rappresentano comunque una quota minima: si tratta della «tassa d’imbarco», di quella per «sicurezza e controllo dei bagagli a mano» e di quella per «il controllo sui bagagli da stiva»; in più, l’Iva su queste voci. Una voce «ibrida» è l’addizionale per enti locali, misure contro la criminalità, fondo speciale per il sostegno dell’occupazione nel settore, di recente aumentata per andare anche a favore dei vigili del fuoco. Per quanto riguarda Linate, le tre «tasse», più l’Iva, più l’addizionale, fanno in tutto 12,81 euro: tutto quello che eccede questa cifra è la «zona grigia», spacciata per qualcosa di diverso dal prezzo del biglietto, che in questo dovrebbe essere invece incorporata. Sono voci quali «sovrapprezzo carburante» o «corrispettivi per il servizio di vendita», a seconda del canale prescelto (internet, telefono o agenzia).
Perché viene richiesto a parte un «sovrapprezzo carburante» (la voce più elevata), quando il carburante è comunque compreso nel prezzo del biglietto? Né gli autobus né i taxi usano questa formula, eppure vanno a benzina anche loro.

E perché un passeggero deve pagare a parte l’acquisto del biglietto, quando l’atto dell’acquisto, comunque esso avvenga, è parte integrante del biglietto stesso? Su queste voci variabili si misura anche l’efficienza di una compagnia: più è capace di far quadrare i propri conti, meno deve ricorrere all’astuzia di chiedere, a parte, del denaro ai suoi clienti sotto l’equivoca protezione del termine «tassa».

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