di Arnaldo Ferrari Nasi
Proprio in questi giorni ho avuto modo di leggere il libro di un collega in cui si accenna ad un fatto, accaduto più di due anni fa, che per me è stato una brutta storia professionale.
Ho sempre pensato di passarci sopra, ma visto che è stata ritirata fuori, voglio dire anche io qualcosa...
Il libro è di Paolo Natale, uno stimato ricercatore sociopolitico che conosco personalmente. Si intitola Attenti al sondaggio! e racconta di come i sondaggi da strumento di conoscenza siano diventati strumento di comunicazione e di come spesso, in questa nuova loro funzione, si prestino a manipolazioni più o meno occulte.
Successe che il 24 gennaio 2007 Il Giornale uscì con un mio sondaggio che riportava il 67% di un campione rappresentativo di italiani come d’accordo sul fatto di mantenere l’impegno in Afghanistan, in accordo con gli alleati, fino a che la situazione non fosse stata considerata stabile.
Due giorni dopo La Repubblica pubblicò un sondaggio di Ipr Marketing che vedeva favorevoli al rientro delle truppe dallo stesso teatro il 56% della popolazione.
Già questa non era una situazione piacevole. Per di più sullo sfondo c’erano le forti tensioni interne al governo Prodi, in crisi proprio per i dissensi con l’ala sinistra dell’Unione sulla questione. Tanto che il 21 febbraio 2007 il Professore diede le dimissioni anticipate (poi respinte dal Quirinale) da presidente del Consiglio in seguito alla bocciatura in Senato della risoluzione di maggioranza sulla politica estera del Governo.
Ad opinionisti e blogger la questione non sfuggì. In rete e anche sulla stampa apparvero commenti. A dire il vero la grande maggioranza di quei commenti lasciava intendere, in modo esplicito o velato, che i dubbi andassero ricercati nell’accoppiata Ferrari Nasi-Il Giornale. Mi pare logico, un ricercatore indipendente, o meglio, estraneo al giro, ed il giornale «di Berlusconi».
La metodologia delle due ricerche, regolarmente pubblicata sul sito del ministero, era pressoché identica, mentre, effettivamente, la formulazione della domanda nei due sondaggi era diversa, cosa importante per l’ottenimento dei risultati finali.
Decisi di consultarmi direttamente con l’autore dell’altro studio per cercare di capire se solo quella fosse stata l’origine della discordanza dei risultati e per comprendere come quello scarto doveva essere interpretato.
Telefonai all’Ipr di Napoli, mi presentai, spiegai bene alla segretaria chi fossi e i motivi per cui volessi parlare col responsabile della ricerca in questione. «Certo Dottore, glielo passo subito». Rimasi in attesa un’ora d’orologio, non mi passarono nessuno e finalmente riagganciai.
Ero comunque abbastanza sicuro del mio dato. Il 13 luglio dell’anno precedente un altro sondaggio era stato da me pubblicato sempre su Il Giornale e la stessa domanda con la stessa metodologia campionaria, dava il 69% degli interpellati d’accordo. Risultato identico: dato affidabile.
Ricostituito l’esecutivo, Prodi, tra le altre cose dovette di nuovo e quasi subito affrontare il nodo delle missioni estere. Questa volta l’accordo fu ampio e il 27 marzo successivo si vide approvare dal Senato il decreto legge sul rifinanziamento.
Da notare che il giorno precedente La Repubblica uscì con un sondaggio della stessa Ipr Marketing. Il titolo dell’articolo di commento recitava: «Camera, slitta a domani il voto sulle missioni. Sondaggio: 70% per restare in Afghanistan».
Io mi tranquillizzai. Comunque nessuno ne parlò, non gli stessi opinionisti e commentatori che prima invece si erano mossi con solerzia. Solo un giornalista dell’Ansa fece un piccolo appunto su quanto fosse insolito che sullo stesso tema l’opinione pubblica variasse in modo così macroscopico nel giro di due mesi.
All’amico Paolo Natale dico che mi sarebbe piaciuto che nel suo libro ci fosse stata almeno una postilla per questa seconda parte della vicenda, che era pubblica.
* Arnaldo Ferrari Nasi, sondaggista
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