
Una religiosità non necessariamente cristiana, ma non per questo priva di un acceso misticismo, traluce nell'arte montana di Giovanni Segantini (nato ad Arco di Trento nel 1858, morto a Pontresina, in Svizzera nel 1899).
Segantini - insieme a Gaetano Previati, con cui condivise la prima Triennale di Brera, a Milano, nel 1891- è il massimo esponente del Simbolismo divisionista italiano e il maggior capostipite di una generazione di artisti, di provenienza lombarda in particolare, che ha coniugato le nuove istanze formali del Modernismo tardo-ottocentesco con una sensibilità paesaggistica di remota ascendenza classica.
In Segantini la vocazione simbolista, alla ricerca di verità spirituali che si rivelano non attraverso il ragionamento, ma nella visione, cresce parallelamente al bisogno di risposte esistenziali. Segantini aveva infatti trascorso un'infanzia priva di affetti familiari, sempre isolato, e con un desiderio di serenità sempre insoddisfatto. L'arte costituisce per Segantini una prima, fondamentale forma di terapia, un'occasione di dedizione assoluta a qualcosa che ritiene finalmente importante, capace di fargli esprimere ciò che sente e che può dare un senso alla sua vita.
La formazione di Segantini avviene a Milano negli ambienti più evoluti dell'Accademia di Brera, a contatto con gli esponenti che avevano introdotto un colorismo di grande impatto emotivo (Bianchi, Carcano, Conconi), viatico allo sviluppo di un nuovo naturalismo lombardo.
Inizialmente si unisce al gruppo di pittori intorno a Vittore Grubicy de Dragon e al di lui fratello, Alberto, agente commerciale delle giovani leve lombarde nel mercato internazionale. Grubicy si sta facendo promotore, anche in veste di pittore, del Divisionismo, la versione italiana del Pointillisme di Georges Seurat e Paul Signac, dal cui eccesso di metodicità scientifica prende peraltro progressivamente le distanze.
Ma dopo una prima adesione, Segantini si rifugia nelle campagne brianzole, a Pusiano (siamo negli anni tra il 1881 e il 1886), dove si dedica a una personale opera di riscoperta sentimentale della natura.
La svolta nell'arte di Segantini avviene però in corrispondenza di un soggiorno successivo nei Grigioni, il primo in una terra alpina, quando la pittura dell'artista trentino si converte a un nuovo modo di distinguere il tono cromatico e di costruirlo per associazione di elementi seriali: il Divisionismo. La tecnica divisionista, ricca di vibrazioni luminose, è lo strumento perfetto con il quale Segantini fornisce la sua rappresentazione del mondo preferita, quella della vita di montagna; i montanari, fra cielo e terra, incarnano una moralità e una profonda spiritualità che derivano da un rapporto viscerale con la natura.
La famiglia, il lavoro, la religione acquisiscono un ruolo centrale in questa visione, riproponendo valori antichi che la civiltà moderna era avviata a disconoscere.
Negli anni Novanta l'arte di Segantini acquisisce cadenze sempre più aggiornate al gusto del Simbolismo europeo, dove la montagna non è più un luogo fisico, sia la Val Bregaglia o l'Engadina, ma una dimensione dell'anima.
La vita alpina si carica di un misticismo estremo, contrapposto all'insana materialità della vita metropolitana, unica possibilità d'instaurare un legame interiore con la natura, e di trovare pace con se stessi.
Possiamo verificare questo climax in una serie di quadri.
Di ritorno dal bosco (1890) traduce l'idea di una montagna amica, ma non disponibile all'uomo, di un paese di consuetudini e fatica, di calore del focolare domestico, abitato da persone che hanno un sentimento di solidarietà con la vita della montagna, perché ad essa appartengono. Una donna di spalle, nel suo sforzo, che è evidentemente quotidiano, uscendo dal bosco, trascina la slitta con il legname utile a scaldare la casa. C'è il senso dell'intimità, del lavoro, della fraternità umana immersi nell'immensità del paesaggio innevato. La visione dal basso verso l'alto, in diagonale, porta lo spettatore dentro il quadro, lo introduce nel sentiero di neve, specchiandolo nel gesto umile e nobile della donna che trasporta la legna.
Nei suoi numerosi paesaggi invernali, Segantini ci immerge dentro la forza protettiva della neve. La montagna e la neve emergono in una tempesta di colore, generata dal divisionismo, che deflagra e manda luce. La tela è una superficie in cui rifrange la luce dei cristalli di neve, in un prodigio di pittura.
Pomeriggio delle Alpi parte del Trittico della Natura, ultima opera del pittore trentino - mostra una donna, insieme alle pecore del suo gregge, appoggiata a un ramo, elegante, con il cappellino che le fa ombra, tagliandole il viso. È una giornata perfettamente tersa, splendente, e Segantini, nella sua pittura, restituisce questa perfezione, ne rifà l'equivalente emozionale, la sensazione che si prova in montagna durante una passeggiata, al primo pomeriggio, in una totale, placida contemplazione della vita.
Segantini ha il potere di trasportare lo spettatore nella natura che dipinge, e fargli provare il sentimento di una passeggiata in Engadina.
È l'antitesi di Kaspar David Friedrich: non c'è lotta, non c'è dialettica, non c'è compiacimento delle umane forze e neppure sottomissione alla potenza della natura. In Segantini regna una reciproca appartenenza dell'uomo e della donna alla montagna. Il destino degli uni è il destino dell'altra, perché l'essenza degli uni è l'essenza dell'altra. Per questo non c'è neppure il senso dell'idillio, dell'Arcadia, perché Segantini, attraverso la sua formidabile pittura, ci mostra l'identica radice dell'umano e della natura. Segantini piega la tecnica divisionista a una idea potentissima dove Deus sive Homo sive animalia sive Natura. La donna qui può voltare le spalle alla montagna, perché vi appartiene essenzialmente, non ha bisogno di sfidarla, le basta respirarla.
Questa osmosi tra donna, animali e natura è ancora più evidente in una tarda versione de Le due madri. Un dipinto estremo, che riporta la data di morte di Giovanni Segantini (1899), e venne completato dal suo amico Giovanni Giacometti (che lo portò a termine nel 1900).
Qui, in un paesaggio montano, una madre porta in braccio il suo bambino e la pecora, subito dietro di loro, accompagna il suo agnellino. Come nella donna che trascinava la slitta con la legna, Segantini propone uno scorcio dal basso verso l'alto, e in diagonale. Ma tale è l'intimità della madre con suo figlio, e della pecora con il suo agnello, che lo spettatore può sentirsi donna o animale, indifferentemente. Entrambi sono animati dalla stessa tensione affettiva. Il volto della donna e del bambino sono appena accennati, meno dipinti che i musi dei due animali, perché non c'è nessuna gerarchia nella natura.
Il mondo della natura e il mondo degli uomini si specchiano,
convivono, è lo stesso mondo che abitano. La montagna è il ventre che accoglie uomini e animali, ed è quasi più naturale che ci siano le pecore che non la donna, e metterle insieme indica l'identico mistero della maternità.