Costa: la Ue non accetta dietrofront

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Bruxelles

«Che ne pensa l'Europa? È di una chiarezza assoluta: la tratta Lione-Torino va fatta. Punto e a capo». Paolo Costa, già sindaco di Venezia, ministro dell'Ulivo e oggi presidente della commissione Trasporti dell'Europarlamento è categorico. Giusto due giorni fa ha pranzato come ogni due mesi col commissario ai Trasporti Jacques Barrot che tra un discorso e l'altro s'è informato della rivolta in Val di Susa, ribadendo che per la commissione non si torna indietro. «Il corridoio Oporto-Varsavia va completato. È interesse di tutti, non di pochi contestatori. Si può magari ancora trattare sul come - osserva ora Costa - ma sul se non ci piove».
E il come in che si traduce? «Nel fatto - spiega l'europarlamentare della Margherita - che alcune osservazioni tipo quelle fatte emergere dalla Regione Piemonte o quelle che chiedono di escludere l'amianto possono magari essere prese in considerazione, ma con una puntualizzazione: si decide in tempi rapidi, non si sognino di andare per le lunghe. Perché sul fatto che si debba realizzare la linea, non si può più discutere. Il corridoio Lione-Torino è uno dei 48 snodi che la Ue chiede e sorveglia tramite commissari - per la parte italiana c'è la De Palacio, per quella francese Davignon - in quanto fanno parte di un progetto unitario. Io credo, e ho visto anche Ciampi sulla stessa linea, che in buona sostanza si possano trovare gli spazi di manovra sul come procedere, ma devo far presente come ci sia una enorme sproporzione tra gli interessi dell'intera Europa e i problemi, pur legittimi, degli abitanti della Val di Susa».
Ma non è tutto: una minoranza di contestatori, oggi, può diventare una mina dagli effetti deflagranti per il nostro Paese se si guarda oltre la punta del proprio naso. «Quella che si sta giocando - nota infatti ancora Costa - è una partita esemplare e dalla doppia valenza. Se si finisce per cadere nel vizio italiano di discutere senza decidere temo che finiremmo assai male. I soldi per la costruzione della tratta sono stati assegnati e non torneranno a Bruxelles. Ma con quale coraggio potremmo poi chiederne altri, per diverse opere, se oggi passasse la linea del rifiuto? Ancora, sul piano interno: c'è una legge obiettivo che, pur discutibile in qualche punto, funziona. Vi si legge che l'intesa dev'esser trovata tra Regione e Stato, “sentiti” i Comuni interessati. E dunque questi, se credano, si rivolgano pure al Tar per sapere se la legge è stata violata, ma non si possono permettere di bloccare il tutto, perché non è loro consentito!».
Costa ricorda come anche lui ebbe il suo bel da fare quando - da ministro dei Trasporti a Roma - si discusse sulla variante di valico sull'Appennino e mastica ancor oggi amaro: «Il discorso sul federalismo si va facendo pericoloso: Stato, Regioni, enti locali... o c'è leale collaborazione tecnica e amministrativa o il tutto rischia di divenire una trappola mortale». E per sottolineare con forza come il nodo della Val di Susa vada affrontato e risolto, ricorda come un’alternativa fosse già stata messa a punto oltre le Alpi (i francesi avevano ipotizzato un percorso che da Lione, via Strasburgo, Stoccarda, Vienna e Budapest portasse in Ucraina) ma come l'Italia avesse preteso di rientrare a pieno titolo nella route ferroviaria Ovest-Est, il famoso corridoio 5. «Già se ne discusse all'epoca del centrosinistra al governo, e fu con la commissione Prodi che si prese la decisione», osserva lapidario.
Ma allora, le proteste della Val di Susa cavalcate da una parte della sinistra? «Ripeto: si può discutere del come, ma non del se. E si discute con gente in buona fede.

Perché non è il caso di trattare con chi cerca solo di costruirsi una carriera politica sulle spalle nostre e di una precisa strategia europea di modernizzazione». A chi protesta in queste ore, allora, cosa manderebbe a dire, presidente Costa? «Nervi a posto. E basta con le speculazioni!».

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