La crisi petrolifera? Per la Saipem è davvero un affare

L’ad Tali: «Le imprese del settore tornano a investire nella ricerca e sviluppo dei giacimenti». Ieri commessa da mezzo miliardo

Paolo Giovanelli

da Milano

L’ultimo contratto, da mezzo miliardo di euro, Saipem l’ha praticamente siglato in casa, con la capogruppo Eni, per la manutenzione degli impianti di estrazione in Italia con cui la società produce circa 260mila barili di petrolio al giorno. Ma per la Saipem questi sono tempi d’oro: la crisi petrolifera sta spingendo le compagnie a tornare a investire. «Il mercato va bene - ha detto al Giornale Pietro Franco Tali, presidente e ad di Saipem - l’oil industry per lungo tempo ha investito poco, ora gli esperti prevedono che per altrettanto tempo investirà molto. Abbiamo molte trattative: il rischio è di prendere più lavori di quanto si riesca a fare. Ma è un problema che affrontiamo volentieri».
Basta vedere i contratti degli ultimi due mesi, senza contare quello di ieri: il 14 giugno sono state acquisite commesse per 1 miliardo di dollari in Sud est asiatico, Mare del Nord, Africa Occidentale e Golfo del Messico; il 17 maggio mezzo miliardo di dollari per ordini che arrivavano da Arabia saudita e Canada; il 15 maggio 460 milioni di dollari per perforazioni in Norvegia; il 10 maggio 1760 milioni di dollari per costruzioni a terra in Arabia Saudita e Nigeria.
«Negli ultimi 10 anni era di moda la parola “consolidamento“ - spiega Tali - si investiva poco in esplorazione e tanto nell’acquisizione di altre compagnie. Adesso si torna all’attività tradizionale di trovare nuovi campi petroliferi e svilupparli. E noi siamo avvantaggiati perché abbiamo acquisito la capacità di lavorare in aree difficili, siamo diventati attori di sviluppo in quelle aree». E le aree «difficili» non mancano, come la Nigeria, con le sue tensioni, o il Caspio, con un clima inclemente. «Se c’è una caratteristica della Saipem, è che è presente in modo significativo nei paesi dove opera: in Kazakistan lavorano 2mila persone, di cui mille locali, in Nigeria abbiamo 4mila addetti, 2.500 nigeriani. Quello dell’italiano che è ben visto non è un luogo comune, è un fatto: agli occhi dei locali il nostro Paese non costituisce una minaccia, come possono esserlo altri. E poi, al di là di non essere percepiti come minaccia, sappiamo adattarci alle situazioni, senza essere schiavi delle procedure. Mi è capitato in Angola di passare vicino a un ospedale di una nostra base: c’era una fila di donne e bambini che non erano chiaramente dei dipendenti. Formalmente diamo assistenza solo alle famiglie di chi lavora per noi, ma siccome non chiediamo i documenti finisce che viene la gente di tutta la regione, dove non c’è un solo ospedale. E questo ci dà l’appoggio dei locali».
Ma la simpatia non basta: così Saipem ha fatto due importanti acquisizioni negli ultimi anni.

L’ultima, interna al gruppo Eni, è stata quella di Snamprogetti, nel febbraio di quest’anno, che ha portato oltre duemila ingegneri esperti nella progettazione di lavori a terra, mentre nel maggio 2002 è stata acquistata la francese Bouygues con tremila ingegneri esperti nell’offshore (i lavori in mare). Perché la nuova frontiera è il mare: è di lì che potrà arrivare una importante parte del petrolio di domani. Ieri il titolo è rimasto praticamente invariato (-0,11%).

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