Il critico Quando l’adrenalina della guerra batte la fantascienza

Sei Oscar a The Hurt Locker («La cassetta del dolore», quella con gli effetti personali di un caduto) di Katryn Bigelow, il film presentato in concorso alla Mostra di Venezia del 2008, che ha incassato in Italia solo 132.000 euro!
La giustizia tardiva è meno efficace di quella immediata, ma la vendetta è un piatto da mangiare freddo... Ora The Hurt Locker tornerà nelle nostre sale, dopo essere apparso in dvd (Eagle) anche nelle edicole. Convincerà il pubblico del 2010, sempre composto di persone disabituate a rappresentazioni non grossolane della realtà? La riedizione manderà al cinema la maggioranza fin troppo silenziosa di adulti, disgustata da anni di giovanilismo cinematografico?
Intanto è evidente che il campione di ques’ultimo filone, il fantapolitico Avatar di James Cameron (ex marito della Bigelow), ha avuto ieri solo tre Oscar tecnici, incluso quello per la fotografia, andato all’italo-americano Mauro Fiore. È il segnale che nemmeno un premio industriale come l’Oscar può ignorare l’estetica per compensare solo l’aritmetica (degli incassi).
The Hurt Locker - ispirato da un articolo di Mark Boal, embedded in Irak nel 2003-2004 - racconta l’occupazione degli Stati Uniti in Irak come Apocalypse Now raccontava l’occupazione dell’Indocina. «L’orrore, l’orrore...», vi mormorava Marlon Brando. Meno visionari, i ricordi post-irakeni di Boal avevano ispirato già Nella valle di Elah di Paul Haggis, altro film non premiato alla Mostra di Venezia, quella del 2007, ma che valse la «nomina» all’Oscar di Tommy Lee Jones. La storia, dunque, si è ripetuta, forse con la voglia di riparare anche l’altra ingiustizia...
In The Hurt Locker, il personaggio principale è un contractor (Jeremy Renner). Artificiere, ha visto molti suoi compagni saltare in aria. Quando torna a casa, sente però la mancanza del rischio...
Firmato da una donna, il finale che lo vede voltar le spalle alla famiglia per ri-arruolarsi capovologe la logica imperante nel cinema americano d’autore. Nel Cacciatore di Michael Cimino (1978), il reduce dal Vietnam di Robert DeNiro non riusciva più a cacciare neanche il cervo... A Venezia fu proprio il finale di The Hurt Locker a determinare il rifiuto di premiarlo da parte della giuria presieduta da Wim Wenders (il Leone d’oro andò a The Wrestler di Darren Aronofsky).
Ieri una dichiarazione di Paolo Baratta, presidente della Mostra, ha preso le distanze da quella rimozione ideologica del piccolo gioiello della Bigelow. E il parere del direttore, Marco Müller, che volle il film in concorso, è uguale a quello di Baratta. Ma la critica italiana insiste a diffidare del film proprio per la sua conclusione.
Si è detto e ridetto che per la prima volta una donna ha avuto l’Oscar per la regia; si è stradetto che The Hurt Locker ha avuto anche l’Oscar più importante, quello per il miglior film, che va al produttore. Ma chi ha notato che una donna - intelligente come Atena, bella come Venere - ha saputo contemperare il suo orientamento pacifista con la constatazione - la fece con me, proprio alla Mostra - «che a molti la guerra piace»?
Non è una novità: Francesco De Gregori canta da decenni, nel suo grande successo intitolato Generale, che «la guerra è bella anche se fa male»; e Francesco Guccini canta da ancora più decenni nella Locomotiva che gli «eroi son tutti giovani e belli». Naturalmente i due sostengono di essere ironici, cioè di dirlo solo per negarlo. Eppure...
... Eppure guardiamo un altro Oscar di ieri, quello per l’attore non protagonista al tedesco Christoph Waltz, premiato per Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, passato per il Festival di Cannes. Waltz è un grande interprete, ma si sa che l’Academy considera sempre i personaggi quanto e spesso di più che gli interpreti. E qui il personaggio è un Ss.

Improbabile che i giurati dell’Academy si siano svegliati di colpo guerrafondai e nazisti; probabile che siano stufi di certe mode buoniste, onorate comunque anche quest’anno con gli Oscar per gli attori protagonisti a Sandra Bullock e a Jeff Bridges. Che peraltro sono fior di professionisti.

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