La croce e la Katana. Quando i cristiani del Sol levante andarono alla guerra

Nel nuovo romanzo storico di Rino Cammilleri l'epopea e il martirio dei Samurai che non vollero abbandonare la religione giunta da Occidente

Matteo Sacchi
Anno del Signore 1638, anno sedicesimo dello shogunato di Tokugawa Iemitsu. Sul castello di Hara, un vecchio maniero diroccato nel sud del Giappone, sventolano strane bandiere. Sono bianche con disegnata sopra la croce, oppure la Vergine Maria. All'interno delle mura ci sono cinquantamila tra contadini, mercanti, ronin (samurai senza padrone), donne e bambini. All'esterno è schierata un'armata enorme. Più di centomila uomini accorsi sotto il comando dei più potenti daimyo, i signori feudali fedeli al governo dello Shogun. Sono lì per fronteggiare una rivolta che nessuno sino a qualche mese prima avrebbe ritenuto possibile. Nessuno avrebbe mai pensato che i molti contadini e i pochi samurai convertiti al cristianesimo avrebbero osato ribellarsi.
In giappone le guerre private e i conflitti tra clan erano all'ordine del giorno. Ma una rivolta in nome della libertà religiosa e dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio era qualcosa di diverso. Qualcosa che rischiava di turbare gli equilibri dell'intero arcipelago, le radici culturali di una civiltà. Da quando infatti i missionari portoghesi erano giunti, nel 1549, molti giapponesi si erano convertiti al cattolicesimo. Soprattutto a Nagasaki, il più importante porto aperto al commercio con i gaijin (gli stranieri). E la nuova religione, sia per il suo essere un possibile ponte per le potenze straniere, sia per i suoi connotati egalitari e la sua presa tra gli strati bassi della società, era stata subito percepita come un pericolo dal clan dominante: i Tokugawa.
Eppure, nonostante il divieto di professarla emanato nel 1614 e le persecuzioni, i cattolici stavano rialzando la testa. Anzi, si erano organizzati militarmente per resistere allo sterminio. Ecco perché l'assedio che durò mesi, l'assalto ai convertiti che rifiutano di abiurare il loro credo, è stato uno dei momenti più violenti e decisivi della storia del Giappone, anzi dell'Asia intera. Gli spagnoli ebbero paura di intervenire a favore dei cattolici (dalle Filippine) e gli olandesi protestanti appoggiarono con un cannoneggiamento marittimo l'azione del Bakufu (il governo centrale). La vicenda che finì con un immane massacro, è molto nota in Giappone e ben poco in Occidente. Ora Rino Cammilleri la racconta nel romanzo storico Il crocefisso del samurai (Rizzoli, pagg. 274, euro 18,50). La ricostruzione si muove agilmente tra i due fronti dello scontro, dà conto delle ragioni degli uni e degli altri, ridà vita a personaggi storici come lo shogun Iemitsu o Miyamoto Musashi (mitico spadaccino errante). Ne inventa di fantasia come il giovane cristiano Kato e la sua promessa sposa Yumiko (quasi dei Renzo e Lucia con gli occhi a mandorla) che rendono la storia emotivamente avvincente.
Ovviamente il suo sguardo indugia soprattutto sul campo dei ribelli, destinati alla sconfitta ma determinati sino all'ultimo a combattere per Iesu Kirisuto (Gesù Cristo), per quella religione nuova che dava speranza ai contadini e agli umili.

Narrando la loro sconfitta, tra combattimenti, duelli a colpi di katana e atti di eroismo, non manca mai di coglierne il lato tragico (la persecuzione secolare verso i cristiani durò sino al 1889). Ma anche il senso di speranza che i «cristiani segreti» non abbandonarono mai, sino al ritorno degli europei.

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