Il caso De Maria e i permessi di lavoro. Tutto quello che c'è da sapere

Domande e risposte sul caso del 50enne detenuto a Bollate che si è lanciato dalle terrazze del Duomo, dopo avere accoltellato un collega e ucciso Chamila

Il caso De Maria e i permessi di lavoro. Tutto quello che c'è da sapere
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Il caso di Emanuele De Maria autore del tentato omicidio di un collega di lavoro, Hani Nasr, e dell'omicidio di una donna di 50 anni, Chamila Wijesuriya, solleva una serie di interrogativi. Il 50enne, che ha deciso di farla finita buttandosi dalle terrazze del Duomo, morendo all'istante, usciva tutte le mattine dal carcere di Bollate per lavorare in un hotel di Milano. Stava scontando la sua pena per il femminicidio di una 23enne nel Casertano, ma usufruiva dei permessi di lavoro, disciplinati dall'articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario del 1975 e dall’articolo 48 del decreto del presidente della Repubblica 230 del 2000. Secondo il suo legale, l'avvocato Daniele Tropea, De Maria "meritava il permesso di lavorare fuori visto l'ottimo percorso che aveva fatto all'interno del carcere".

Cosa sono i permessi per il lavoro all'esterno dei detenuti

I permessi per il lavoro dei detenuti hanno come obiettivo il reinserimento sociale delle persone recluse in carcere. Significa, in poche parole, che il legislatore cerca di dare ai detenuti l'opportunità di cambiare direzione rispetto agli errori commessi in passato. E di migliorare se stessi per potere avere nuovamente un ruolo positivo nella società, una volta scontata la loro pena. Ecco perché i detenuti possono anche partecipare ad attività educative, culturali e ricreative. E quindi, naturalmente, svolgere attività lavorativa per potersi formare e avere nuove opportunità professionali una volta fuori dalle mura del carcere.

Dopo quanto tempo si possono richiedere i permessi di lavoro

C'è un tempo minimo prima che alcuni detenuti possano lavorare fuori dal carcere. Se sono accusati di reati particolarmente gravi, possono farlo dopo l'espiazione di un terzo della pena o, comunque di non oltre cinque anni: ad esempio se hanno commesso delitti per finalità di terrorismo, o di eversione dell'ordine democratico con atti di violenza. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.

Se De Maria fosse stato condannato dopo il 2019

Emanuele De Maria era detenuto perché nel 2016 ha ucciso una donna di 23 anni, Racheb Oumaima. Era una prostituta: fu ammazzata a coltellate in una zona degradata in provincia di Caserta. L'uomo cercò di fuggire e fu arrestato nel pieno della sua latitanza, tra Germania e Paesi Bassi. Fu condannato a poco più di 14 anni di carcere nonostante il suo reato, l'omicidio aggravato, preveda l'ergastolo. De Maria riuscì infatti ad accedere al rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Oggi questo non sarebbe possibile. Nel 2019, la legge n. 33, fortemente voluta dalla Lega di Matteo Salvini, ha introdotto una riforma che ha reso inammissibile il rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo, tra cui, appunto l'omicidio aggravato.

Chi ha deciso di concedere il permesso a De Maria

Il lavoro esterno non è una vera misura alternativa alla detenzione, ma un beneficio, concesso dal direttore dell'istituto di pena. Nel caso di De Maria, è stato concesso dall'ex direttore del carcereche ha però deciso sulla base di relazioni positive dell'equipe di psicologi ed esperti del carcere. La magistrata di sorveglianza ha dato il via libera. "Nel caso concreto - dice una nota firmata dal presidente della corte d'appello Giuseppe Ondei e dalla presidente del tribunale di Sorveglianza di Milano Anna Maria Oddone - il provvedimento dell'Ufficio è stato assunto, previa acquisizione delle informazioni dalle Forze dell'Ordine, all'esito di un'istruttoria a cui hanno concorso, in piena collaborazione, l'Amministrazione Penitenziaria e tutti i soggetti coinvolti nella gestione del trattamento detenuto, al fine di garantirne la rieducazione sotto il vigile controllo degli operatori. La decisione è stata emessa in ragione di un percorso carcerario che si è mantenuto sempre positivo anche durante i due anni di lavoro presso l'albergo Berna, senza che nulla potesse lasciare presagire l'imprevedibile e drammatico esito".

I dati dicono che, nonostante tutto, conviene che i detenuti lavorino

Anche se il caso in questione desta molta preoccupazione sia tra gli addetti ai lavori che non, le statistiche danno ragione a chi concede i benefici del lavoro esterno e alle misure alternative.

I dati più recenti, comunicati dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, dicono che il tasso di recidiva (cioè di chi torna a commettere i reati una volta scontata la pena) della popolazione carceraria è nel complesso del 70 per cento. Ma questa percentuale crolla drasticamente nel caso dei detenuti che lavorano: tra questi ultimi, infatti, torna a commettere reati solo il 2 per cento.

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