
Laser a scansione "Riegl VZ400", basato su "tecnologia a tempo di volo con digitalizzazione dell’impulso laser". Una camera Nikon D90, calibrata da un punto di vista fotogrammetrico e rigidamente accoppiata al laser. Strumenti ad altissima precisione, necessari per creare un modello 3d su cui virtualmente posizionare le macchie ematiche fotografate nel 2007, poco dopo l'omicidio di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto di diciotto anni fa. Sono tra quelli utilizzati nel 2014 per la perizia, firmata da Roberto Testi, Gabriele Bitelli e Luca Vittuari per rispondere ai quesiti della corte d'assise d'Appello di Milano nel processo bis seguito all'annullamento con rinvio della Cassazione dell'assoluzione di Alberto Stasi. Una perizia che si è rivelata decisiva per la condanna per omicidio, poi diventata definitiva, per l'ex studente della Bocconi, a 16 anni di carcere, di cui ha già scontato buona parte. Anche il 20 giugno del 2014, così come lunedì 9 giugno 2025, gli esperti erano entrati nella villetta di via Pascoli. Allora erano state piazzate 22 "ScanPosition" (posizioni di scansione) così distribuite: "8 nei locali del piano terra, delle quali 1 in soggiorno, 2 in cucina, 1 nel disimpegno antistante le scale della cantina, 2 in bagno, 1 nel salottino, 1 sulle scale che salgono al piano superiore; 3 in cantina". Di queste Scan Positions "sono state rilevate complessivamente 32 nuvole di punti", necessarie per la ricostruzione 3d del piano terreno e della cantina.
Il modello 3d
Cosa c'è di diverso oggi rispetto al 2014? Spiegano fonti qualificate che la tecnologia è praticamente la stessa dell'epoca, con la differenza che dieci anni fa i macchinari utilizzati erano decisamente più costosi ed erano necessari più giorni per processare tutte le informazioni. Ecco perché si decise di ricostruire un modello tridimensionale solo del piano terreno e della scala in cui è stato ritrovato il corpo di Chiara Poggi, rispondendo ai quesiti posti dalla corte d'assise d'appello di Milano nell'appello bis. Oggi il laser scanner, utilizzato nuovamente a Garlasco, viene utilizzato su tutte le scene di crimini di una certa gravità, in quanto decisamente meno costoso dell'epoca per gli investigatori scientifici e anche più trasportabile e più semplice da utilizzare. Ed è stato utilizzato quindi lo scorso 9 giugno per ricostruire il modello 3d di tutta la casa, compreso il piano superiore e la cantina stessa.
I risultati della Bloodstain pattern analysis
Anche all'epoca alle misurazioni effettuate servirono per un modello 3d su cui furono applicate le regole della Bloodstain pattern analysis, l'analisi delle macchie di sangue che serve per ricostruire la dinamica di un delitto. L'aggressione si svolge tutta al piano terreno, ricostruiscono i periti: prima nell'ingresso, poi ai piedi della scala che porta al piano superiore e poi trascinata lungo il corridoio verso la porta a libro della cantina. Infine si ipotizza che "il corpo sanguinante sia stato sollevato e lanciato lungo la scala è dimostrato dalla presenza di gocce tondeggianti da dripping che si depongono anche sulle impronte di scarpa". Ancora: "Non vi sono dubbi sul fatto che vi sia stata comunque una permanenza significativa dell’aggressore tra la zona antistante la porta e il gradino 0, nel corso della quale si osservano molteplici impronte da trasferimento determinate sia dalle scarpe che dal corpo della vittima". Questo dettaglio è fondamentale per capire se è possibile che il killer abbia lasciato una sua impronta sulla parete destra della scala, all'altezza del terzo gradino, che conduce alla cantina. Qui infatti è stata ritrovata l'impronta di Andrea Sempio (neo indagato per l'omicidio), ma che - va ricordato - non era insanguinata e comunque non è databile.
Il lancio del corpo
I periti - qui una sintesi per semplicità- ipotizzano questa dinamica: il killer avrebbe lanciato il corpo, che ha avuto un impatto sul terzo o quarto gradino. Corpo che è sceso per "gravità" (la scala aveva una "notevolissima pendenza"), con il capo insanguinato che ha toccato il muro destro, determinando i caratteristici imbrattamenti (pennellate sul muro, ndr, probabilmente i capelli) che vi si osservano. "Sicuramente la discesa è stata molto rapida (pochissimi secondi) lungo i primi gradini, quindi più lenta per i gradini successivi e ancor più per gli ultimi due, dove si osservano ampie pozze di sangue che indicano come il corpo sia rimasto fermo per un certo tempo prima di scivolare sul gradino sottostante". Nella relazione, va scritto, si ipotizza che "la Poggi, dopo avere urtato con il capo sul gradino 4 ed essere scivolata sulla scala, sia stata raggiunta dall’aggressore, nuovamente colpita e spinta per i piedi verso il basso. Alcuni elementi potrebbero supportare questa ricostruzione che tuttavia è difficilmente dimostrabile in termini di certezza - concludono - e in ogni caso poco rilevante al fine della risposta al quesito peritale". Quali elementi? La proiezioni degli schizzi di sangue all'altezza del quarto gradino, compatibili sia con l'impatto del corpo sul gradino, in seguito a un volo, che con una possibile nuova aggressione sulle scale. Un elemento che non fa però il paio con altri: uno fra tutti il fatto che non vi sono segni di calpestio. Oltre alle già citate "pennellate" sul muro dei capelli insanguinati, segnale che il corpo è scivolato.
Suole pulite?
Una delle conclusioni della relazione, che si rivelò decisiva per la condanna di Stasi, era che il 26enne non poteva non essersi sporcato le scarpe di sangue, quando è entrato nella villetta dei Poggi perché a suo dire, era preoccupato che la fidanzata di 26 anni non rispondeva al telefono. I periti avevano concluso che l'ex studente della Bocconi aveva affermato il falso quando disse di essere entrato, poco prima delle 14, nella villetta di via Pascoli. Il motivo? Sulle scarpe Lacoste che indossava quando va dai carabinieri non c'è traccia di sangue, ma sarebbe stato impossibile evitare le macchie di sangue scendendo i due gradini della scala (come afferma a verbale): al 0,00002% le possibilità di avere le suole pulite al secondo gradino e allo 0,00038% al primo gradino.
Lo stress di Stasi
Nella relazione lunga 158 pagine si fa anche un'analisi della psicologia dello scopritore del corpo inerme della propria fidanzata: "Anche ipotizzando che l’imputato (ragionevolmente non addestrato ad agire in condizione di intenso stress) abbia potuto evitare almeno una parte delle tracce di sangue nel percorso di andata, mettendo in essere delle azioni volontarie per farlo scrivono i periti - è impensabile che ciò sia avvenuto anche nell’uscita. Non è ipotizzabile, infatti, che il soggetto, dopo il ritrovamento della fidanzata, evidentemente priva di sensi e ferita (cosa che peraltro avrebbe comportato un sovraccarico emotivo tale da impedirgli anche solo di avvicinarsi per verificarne le condizioni) abbia potuto preoccuparsi di non calpestare il sangue nel percorso di allontanamento dall’abitazione".
Insomma, "se c'è un secondo killer ha volato", affermano in modo più basito che ironico fonti vicine all'inchiesta di allora.
Questo per via delle impronte di scarpe: dalle foto dell'epoca (d'altronde le uniche utilizzabili anche oggi) esiste una sola impronta: quella a pallini, identificata come scarpa Frau numero 42 (Sempio, neo indagato per omicidio in concorso, indossa il 44). Le scarpe indossate da Stasi quando si presenta in caserma erano appunto le Lacoste, e per l'accusa se le sarebbe cambiate una volta ritornato solo per inscenare il ritrovamento della fidanzata.