Andrea Sempio e Mario Venditti, due nomi al centro del caso di Garlasco, l'uno al momento indagato per concorso nell'omicidio di Chiara Poggi dalla procura di Pavia, l'altro dalla procura di Brescia per corruzione in atti giudiziari relativamente alla rapida archiviazione del 37enne di Vigevano nel 2017: nel terremoto giudiziario ci è finito anche Giuseppe Sempio, il padre dell'amico del fratello della vittima accusato di aver corrotto l'ex pm ormai in pensione per agevolare l'allontanamento delle indagini dal figlio.
C'è una parola che accomuna gli indagati, ovvero "accanimento", dal momento che entrambi dal canto loro ritengono di esserne oggetto da parte degli inquirenti. Da un lato Andrea Sempio lo ha ribadito con forza davanti alle telecamere nel corso dell'intervista concessa a Bruno Vespa, dall'altro ha fatto lo stesso in più di un'occasione Mario Venditti il quale, grazie anche al prezioso contributo del suo legale, l'avvocato Domenico Aiello, è riuscito a opporsi con grande tenacia al decreto di sequestro dei propri dispositivi elettronici richiesto dai pm di Brescia per far luce sul cosiddetto "Sistema Pavia".
A rispondere a queste accuse è Guido Rispoli, procuratore generale di Brescia, che difende l'operato della procura e la trasparenza delle indagini che la stessa sta conducendo con l'obiettivo di venire a capo dell'intricata vicenda. "Non c'è accanimento", ribadisce ancora una volta il pm al Giornale di Brescia, "la Procura e la polizia giudiziaria mirano al miglior possibile risultato investigativo e cercano di esplorare nella maniera più ampia possibile i telefoni che sono stati sequestrati".
Aiello è riuscito in tre occasioni a ottenere l'annullamento del provvedimento di sequestro dei dispositivi elettronici del suo cliente da parte del Riesame, ma la procura di Brescia non ha intenzione di gettare la spugna e attede ora il pronunciamento della Suprema Corte dopo il ricorso ufficiale. Nell'ultima circostanza è stata l'assenza nel decreto delle "parole chiave" attorno alle quali far ruotare le indagini sui devices di Venditti a spingere il Riesame a bocciare ancora una volta la richiesta dei pm. Una richiesta ritenuta un po' forzata dal procuratore, per il fatto che chiunque voglia nascondere qualcosa in un computer o in un cellulare di certo non utilizzerebbe mai delle parole esplicite per non lasciare tracce di un affare illecito a chi si dovesse mai trovare a indagare su di esso.
"Condivido in pieno la posizione della Procura", spiega infatti Rispoli, "la ricerca per 'parole chiave' è per certo insufficiente, considerato che qualsiasi indagato di media intelligenza non utilizza per le conversazioni relative al reato che sta commettendo un linguaggio che permetta di ricondurre a tale reato, ma utilizza sempre un linguaggio 'criptato'". Una vicenda intricata, ma questo terzo stop da parte del Riesame non ha frenato in alcun modo gli inquirenti: "La Procura ha fatto ricorso, vediamo cosa deciderà la Corte di Cassazione".
"Siamo davanti ad una giustizia che non ha paura di mettersi in discussione, riaprendo casi coperti da sentenze passate in giudicato e indagando sui propri appartenenti senza guardare in faccia nessuno", avvisa il procuratore generale, "se penso ai periodi torbidi del passato - e a Brescia ne sappiamo qualcosa - io dico che c'è da essere fiduciosi".