Benvenuti nella mafiosfera. I boss presidiano anche il territorio dei social in cerca di nuovi adepti. È la sconvolgente analisi del rapporto della Fondazione Magna Grecia di cui ha parlato al Palazzo di Vetro dell’Onu la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo. Intervenendo all’evento «Organized crime in the social media age» la Colosimo ha raccomandato la necessità di una «contronarrazione» del fenomeno mafioso che riesca a fronteggiare l’offensiva dei clan sui social network, usati anche per la comunicazione da e per il carcere, con un focus sull’uso di TikTok da parte delle mafie. Citando Paolo Borsellino, «da sempre uno di miei punti di riferimento», l’appello è stato esteso anche ai media tradizionali, giornali e tv: «La mafia, la ’ndrangheta e la camorra veicolano attraverso i social media un messaggio deviante e distruttivo, soprattutto per le nuove generazioni».
Secondo il rapporto, curato dal docente di Digital Public History presso l’Università di Salerno Marcello Ravveduto, le mafie contemporanee «hanno abbracciato l’era digitale trasformando radicalmente le proprie strategie comunicative e di reclutamento grazie alle piattaforme social, che sono diventate un terreno fertile per la costruzione di un “imaginario mafioso” che non solo normalizza, ma talvolta giunge a glorificare la criminalità, esercitando un’influenza preoccupante soprattutto sulle giovani generazioni», spiega il presidente della Fondazione Magna Grecia Nino Foti.
«Da un monitoraggio del Gom della polizia penitenziaria su TikTok – ha ricordato la parlamentare di Fratelli d’Italia – da una prima ricerca riferita solo al 2025 sono emerse 36 dirette video di detenuti al 41bis. Naturalmente, i detenuti nel circuito dell’alta sicurezza hanno ancora più facilità a parlare con l’esterno e utilizzano tutte le opportunità possibili per fascinare». Eccola la «mafiosfera», la cui fascinazione rischia di contagiare anche ragazzi fuori dai contesti mafiosi tradizionali e dalle affiliazioni di sangue, «Oggi il criminale è un eroe, le istituzioni qualcosa da combattere, il denaro facile è glamour e il lavoro quasi un disvalore», spiega la Colosimo, che ha parlato all’Onu assieme al procuratore di Napoli Nicola Gratteri e ad Antonio Nicaso, esperto di fenomeni criminali e docente alla Queen University del Canada. Il discorso della Colosimo si è concentrato sui recenti fatti di cronaca come l’omicidio di Palermo, con il proprietario 21enne del locale della movida ammazzato dal rampollo del boss. «La prima reazione del giovane che ha sparato e ucciso è stata quella di prendere lo smartphone e postare su TikTok un videoselfie con sullo sfondo un audio di Totò Riina». E così l’omicidio viene «normalizzato» in una notizia social come tante. «Nuove generazioni e nuove tecnologie sono due aspetti dello stesso allarme – ha ammonito la presidente della commissione Antimafia – oggi la criminalità organizzata è silente, la gente non scende più in piazza come ai tempi delle stragi».
È la piattaforma di TikTok la più strategica per i boss, dice il rapporto, grazie alla sua capacità di far diventare un video virale. Sono stati analizzati quasi 6.300 tra profili utente (1.489), video (1.455), commenti (1.385), emoji (1.053), tracce musicali (695), brand (130) e hashtag (76) ed è stato fatto un raffronto – per la prima volta – con le mafie internazionali. E così musica, coreografie e hashtag «trasformano la mafia in un prodotto mediatico seducente, accessibile, apparentemente privo di conseguenze». Ma anche per il suo pericolosissimo messaggio: successo facile, trasgressivo e alla portata di tutti.
«La mafia si è brandizzata, la mentalità mafiosa si mette in vetrina e si normalizza, mettendosi sul mercato», è il ragionamento di Ravveduto. La «mafiosfera» cresce per la sua capacità di suggestionare un pubblico sempre più ampio, diventa «pop», si serve di figure come il «mafiofilo», che più o meno consapevolmente fa l’influencer del brand mafia «con codici visivi e sonori distintivi (musica neomelodica e trap, immagini di lusso ostentato, abiti griffati) in cui la gravità morale delle storie narrate si dissolve a favore della spettacolarizzazione e le organizzazioni criminali, facendo perdere di vista il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è», raccontano di . Diventano performative e attrattive soprattutto per i giovani.
«Per contrastare le mafie nel dominio digitale è fondamentale svecchiare i protocolli d’indagine, aggiornandoli alle nuove sfide tecnologiche e criminali, e dotarsi di personale altamente qualificato dal punto di vista informativo», è la sfida lanciata da Gratteri. «Le mafie ormai non sono più soltanto denaro, trame e violenza: oggi si muovono tra server, blockchain, social media e flussi digitali. E chi vuole combatterle deve diventare un cacciatore di flussi, lettore di sequenze nascoste, interprete dei mondi digitali visibili e invisibili», sottolinea Antonio Nicaso, autore della prefazione del rapporto della Fondazione Magna Grecia. Con uno slogan che sarebbe piaciuto a Giovanni Falcone: da follow the money (segui i soldi) a follow the flow (segui il flusso).