"È mafia". La parola definitiva della Cassazione sui Casamonica

Confermato l'impianto accusatorio della Corte d'Appello di Roma: sarà invece disposto un nuovo processo di secondo grado per la rideterminazione della pena. Per alcuni capi clan riconosciuto anche il reato di associazione armata

"È mafia". La parola definitiva della Cassazione sui Casamonica
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Adesso è definitivo: il clan dei Casamonica è una struttura criminale di stampo mafioso. Lo ha stabilito definitivamente nella giornata odierna la Corte di Cassazione nell'ambito del maxiprocesso a carico di una trentina di persone, tra cui anche i vertici della famiglia. Accolto, quindi, il ricorso del pg riconoscendo nei confronti di alcuni capi anche l'aggravante della natura "armata del sodalizio". Per loro è stato, quindi, disposto un nuovo processo di appello per la rideterminazione della pena.

Una sentenza che, nella sostanza, accoglie il ricorso della Procura generale della Repubblica e conferma l'impianto accusatorio della Corte d'Appello di Roma, che nel 29 novembre del 2022 aveva ribadito l'accusa di 416bis. La condanna più elevata - a 30 anni - decisa quattordici mesi fa dai giudici di secondo grado, era andata a Domenico Casamonica, che era ai vertici del clan romano. In primo grado, il 20 settembre 2021, erano state comminate 44 condanne per oltre 400 anni carcere. Nei confronti di alcune posizione minori è, invece, venuta meno l'aggravante di avere agito nell'interesse del clan. La Cassazione ha inoltre confermato l'esistenza di una associazione parallela dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, con funzione agevolatrice della associazione mafiosa.

La conferma dopo l'Appello sui Casamonica

I giudici di Appello della Capitale avevano scritto ai tempi nel loro responso: "Il gruppo criminale Casamonica operante nella zona Appio-Tuscolana di Roma, con base operativa in vicolo di Porta Furba è organizzato in una 'galassia', ossia aggregato malavitoso costituito da due gruppi familiari dediti ad usura, estorsioni, abusivo esercizio del credito, nonché a traffico di stupefacenti, dotato di un indiscusso ‘prestigio criminale’ nel panorama delinquenziale romano, i cui singoli - proseguiva il verdetto - operavano tuttavia in costante interconnessione e proteggendosi vicendevolmente, così da aumentare il senso di assoggettamento e impotenza delle vittime, consapevoli di essere al cospetto di un gruppo molto coeso ed esteso".

Il processo nasce dall'indagine 'Gramigna', coordinata dal magistrato Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Giovanni Musarò e Stefano Luciani. Che prende il nome dall'erbaccia difficile da estirpare.

Nel corso del primo processo di appello le condanne più alte furono inflitte ai vertici dell'organizzazione e, in particolare, a Domenico (30 anni), Massimiliano (28 anni e 10 mesi), Pasquale (24 anni), Salvatore (26 anni e 2 mesi), Ottavio (17 anni), Giuseppe (16 anni e 2 mesi), Guerrino (16 anni e 2), Liliana (15 anni e 8 mesi) e Luciano Casamonica (13 anni e 9 mesi).

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