Cronaca giudiziaria

"Mi picchiavano per obbligarmi a rubare". E la rom fa condannare i parenti

Una giovane di etnia rom residente a Torino aveva denunciato i familiari: a suo dire, la costringevano a rubare e la picchiavano quando i furti non andavano a buon fine. E la Corte d'appello ha confermato la condanna a 2 anni e 4 mesi per il padre, i nonni e gli zii della ragazza

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Sarebbe stata costretta dai familiari a compiere decine di furti, fra Torino e i Comuni dell'hinterland. Loro stessi provvedevano a quanto sembra a punirla anche a suon di calci e schiaffi, quando i colpi non andavano a buon fine. E dopo esser stati denunciati e condannati in primo grado, nelle scorse ore per il padre, i nonni e gli zii della ragazza di etnia rom protagonista della vicenda in questione è stata confermata anche in appello la pena di 2 anni e 4 mesi per maltrattamenti. Secondo quanto riportato da TorinoToday, tutto è iniziato nel 2018 quando la giovane, allora quattordicenne, si recò dai carabinieri a qualche giorno di distanza dall'ultimo furto che sarebbe stata costretta a compiere. In quell'occasione, l'allora minorenne avrebbe rubato circa 800 euro di merce da un centro commerciale di Grugliasco. E si sarebbe decisa a denunciare la sua famiglia: aveva puntato il dito contro il padre, due nonni e due zii, accusandoli di maltrattarla quando non riusciva a portare a casa un bottino reputato sufficiente.

"Mi picchiavano per obbligarmi ad andare a rubare", avrebbe detto la vittima agli inquirenti. A quel punto era stata presa in consegna dai militari ed era stata attivata la procedura per l'allontanamento dal nucleo familiare, poi disposto dal giudice anche sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla ragazza agli operatori. Da quel momento in poi, fino al raggiungimento della maggiore età, la giovane ha vissuto in comunità e al padre è stata revocata la potestà genitoriale. Agli investigatori ha raccontato che lei e i suoi fratelli più piccoli venivano spediti nei centri commerciali della zona con il compito di rubare vestiti o cibo, dopo la scuola e a ritmo quasi quotidiano. Quando però il colpo non andava a buon fine e i bambini venivano sorpresi, venivano ripagati con le botte. “Ci sgridavano, papà si arrabbiava e ci picchiava” ha riferito a quanto sembra la ragazza in aula, parlando di schiaffi, calci e anche bastonate.

Come punizione per non essere stata abbastanza brava nell'esecuzione dei furti o nella fuga, la minore sarebbe stata obbligata anche a fare le pulizie e altri lavori pesanti, o a saltare la cena. I familiari avevano per contro negato qualsiasi abuso, sostenendo che la ragazza fosse malata e animata da “spirito persecutorio” come reazione all'abbandono della madre in tenerà età. Già i giudici di primo grado avevano tuttavia ritenuto “genuina e autentica” la sua versione ed escluso qualsiasi volontà di calunniare i familiari, come aveva sostenuto la difesa. Il processo potrebbe tuttavia non essersi concluso: secondo l'edizione torinese di Repubblica, gli avvocati che difendono gli imputati hanno preannunciato l'intenzione di ricorrere in Cassazione.

Potrebbero quindi esserci ulteriori sviluppi, a breve.

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