Omicidio Calabresi: quando si delirò di "volontà di giustizia"

Il 17 maggio 1972 Luigi Calabresi venne freddato da due colpi di pistola: il processo giudiziario per ristabilire la verità sarà lunghissimo e controverso

Omicidio Calabresi: quando si delirò di "volontà di giustizia"
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Milano, 17 maggio del 1972. Sono le nove un quarto di mattino quando un commando uccide il commissario Luigi Calabresi davanti alla sua abitazione. Il viceresponsabile della sezione politica alla Questura del capoluogo lombardo veniva ritenuto - da alcuni folli - responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli. Quest'ultimo era precipitato da una finestra del quarto piano mentre era sottoposto a un interrogatorio per la strage di Piazza Fontana, in circostanze mai del tutto chiarite.

Soltanto in seguito si scoprirà che il commissario non era nemmeno presente nella stanza in quel momento. Nel frattempo però, su diversi muri, in quei giorni, si leggeva "Calabresi assassino". Il giornale Lotta Continua pronunciò queste deliranti parole: "Questo marine dalla finestra facile dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito [...] Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte".

Le dinamiche dell'assassinio

Quella mattina di 51 anni fa, Calabresi si sta dirigendo in questura. Da un un'automobile in sosta scende un uomo, gli si avvicina e spara due colpi di pistola: uno alla testa e uno alla schiena. Poi fugge a bordo di una Fiat 125 dove lo attende un complice. Il giorno dopo, in un articolo su Lotta Continua si scriverà in maniera vergognosa: "L'omicidio politico non è certo l'arma decisiva per l'emancipazione delle masse dal dominio capitalista, così come l'azione armata clandestina non è certo la forma decisiva della lotta di classe nella fase che attraversiamo: ma queste considerazioni non possono assolutamente indurci a deplorare l'uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia".

Luigi Calabresi ha solo 34 anni e lascia due figli piccoli e la moglie che è incinta del terzo. Ai suoi funerali partecipano 200mila persone, ma per anni le indagini sull'omicidio non portano a niente. La svolta arriva solo nel 1988 quando Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, confessa di aver partecipato all’assassinio e fa i nomi di altre persone. Il 28 luglio di quell'anno viene dunque arrestato insieme a Ovidio Bompressi - descritto come l'esecutore dell'omicidio - Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri.

L'andamento del processo per l'omicidio Calabresi

Il processo è piuttosto lungo e complicato. In primo grado si sancisce condanna di tutti e quattro gli imputati, che venne confermata in Appello. Tuttavia la Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza. A un'assoluzione si arriva anche al termine del secondo appello, ma di nuovo la Cassazione annulla la sentenza per celebrare un nuovo processo, che si conclude con una condanna per tutti tranne che per Marino, per il quale scatta la prescrizione. Nonostante le numerose richieste di revisione, il processo non si riapre. Sofri scontato la propria pena, mentre a Bompressi viene concessa la grazia nei primi anni 2000. Pietrostefani sconta solo una piccolissima parte della pena prima di rifugiarsi direttamente in Francia, protetto dalla dottrina Mitterrand. Di lui si tornerà a parlare il 28 aprile 2021, quando viene arrestato nell'ambito dell'operazione "Ombre rosse" insieme ad altri terroristi italiani. Niente da fare, però: la Cassazione francese rifiuta di concedere l'estradizione all'Italia. Era il 28 marzo 2023.

In quell'occasione Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso, commenterà: "Era un'illusione aspettarsi qualcosa di diverso e (parere personale) vedere andare in carcere queste persone dopo decenni non ha per noi più senso. Ma c'è un dettaglio fastidioso e ipocrita: la Cassazione scrive che 'i rifugiati in Francia si sono costruiti da anni una situazione famigliare stabile e quindi l'estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare' - ha scritto l'ex direttore di Repubblica -.

Ma pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo dei mariti e padri di famiglia. E questo è ancora più vero perché da parte di nessuno di loro c'è mai stata una parola di ravvedimento, di solidarietà o di riparazione. Chissà...".

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