Cronaca giudiziaria

Il patriarcato è tra noi ma arriva da lontano

È la notte del 30 aprile e a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, non ritorna a casa. È scomparsa. Si chiama Saman Abbas e non ha ancora 19 anni

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Il patriarcato è qui e arriva da lontano. È la notte del 30 aprile e a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, non ritorna a casa. È scomparsa. Si chiama Saman Abbas e non ha ancora 19 anni. Il suo corpo verrà ritrovato mesi dopo, a metà novembre, in un casolare. I sospetti girano intorno alla sua famiglia. Saman è un «ribelle inconsapevole». Non vuole vivere secondo la tradizione della sua terra di origine, Mandi Bahauddin, in Pakistan. Ne parla a scuola, con gli assistenti sociali, prova a fuggire, ma poi ritorna. Si sente italiana. È innamorata di Saqib Ayub, che vive a Bologna, e è arrivato in Italia dopo un lungo viaggio attraverso i Balcani. Saqib è figlio di un calzolaio, la famiglia di Saman è considerati «alta casta». Lo zio in patria era un alto funzionario della polizia. Non c'è solo questo. Il futuro di Saman è già scritto. Lo ha deciso Shabbar Abbas, il padre. C'è un matrimonio da fare, deciso da tempo e lo sposo è il cugino. Con l'altro ragazzo non era amore, lui le diceva bugie e lei faceva lo stesso». I padri sono bravi a raccontarsi storie per sentirsi innocenti. Le madri qualche volta sono complici, per sottomissione, per «decenza», perché «non si fa», perché «il buon nome della famiglia». Questa storia sembra arrivare da un passato più o meno remoto e invece ha trovato il suo sigillo nella sentenza di ieri del tribunale di Reggio Emilia. Il padre e la madre sono stati condannati all'ergastolo e lo zio, autore materiale dell'omicidio a 14 anni, grazie al rito abbreviato. Tutto questo accade in un'Italia, in un'Europa, dove i confini culturali si stanno rimescolando. C'è però qualcosa che manca. Il patriarcato di Shabbar Abbas non muove le piazze. È come se il furore ideologico non cadesse su di lui, ma si limitasse a sfiorarlo, come una tragedia che senza dubbio pesa, ma non fa rumore. È ovattata dalla giusta considerazione che non si può fare di ogni famiglia pakistana un fascio. Non si scrive o urla: maledetti uomini siete tutti Shabbar, tutti colpevoli, tutti assassini. Non si mette in discussione il tempo e la tradizione islamica, come se questo femminicidio fosse troppo lontano per essere giudicato. La responsabilità penale torna personale. E così sia. Solo che in questa penisola in crisi di coscienza ci sono tante, invisibili, Saman e sognano di vivere a modo loro.

Non vederlo è una condanna a morte.

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