Cronaca giudiziaria

Timbrava il cartellino in ufficio, ma andava a casa a curare l'orto

Un sessantaseienne dipendente è finito in tribunale perchè, dopo aver timbrato il cartellino in ufficio, sarebbe più volte tornato a casa a lavorare nei terreni che possedeva

Timbrava il cartellino in ufficio, ma andava a casa a curare l'orto

Timbrava il cartellino nell'ufficio dell'azienda pubblica per la quale lavorava, come gli altri colleghi. Solo che in diversi casi, invece di concludere il turno, sarebbe tornato a casa per curare l'orto ed occuparsi dei terreni che possedeva. Protagonista della vicenda è un uomo di 66 anni residente a Senigallia, nelle Marche, finito in tribunale dopo esser stato accusato di aver lavorato in proprio ed “in nero” durante l’orario di lavoro dipendente. Stando a quanto riportato dai media locali, infatti, l'uomo era stato assunto dall'Asur Marche (ovvero l'Azienda sanitaria unica regionale) dove svolgeva l'incarico di agente di polizia giudiziaria. In almeno una ventina di occasioni però, nel lasso di tempo compreso fra il 2019 e il 2020, si sarebbe allontanato dal posto di lavoro subito dopo aver timbrato.

Il motivo? Secondo gli investigatori in questo modo risultava in servizio, mentre aveva la possibilità di fare altro. In più frangenti aveva infatti fatto ritorno alla propria abitazione, dove si sarebbe occupato di curare i campi e il giardino che possedeva con nuove piantumazioni. In altri frangenti avrebbe invece fatto il giardiniere per altre persone, offrendosi per vari servizi: operazione di sfalcio dell'erba e degli arbusti, nuovi alberi da piantare, siepi da potare. In questo suo "secondo lavoro" avrebbe inoltre usato indebitamente anche tre mezzi dell'Asur (due automobili e un furgone): aveva la facoltà di utilizzarli per il suo impiego da dipendente dell'azienda sanitaria, ma gli inquirenti lo hanno accusato di averli presi anche per caricare a bordo gli attrezzi che gli servivano per il giardinaggio. La procura della Repubblica di Ancona gli contestava i reati di truffa aggravata per aver falsamente attestato la sua presenza in servizio (quando era invece occupato in attività lavorative estranee) e di peculato (per aver utilizzato senza motivo gli autoveicoli di proprietà dell’azienda).

Capi d'accusa per i quali rischiava la reclusione sino ad un massimo di cinque anni, senza contare la scelta dei vertici di Asur di costituirsi parte civile e di avanzare una richiesta risarcitoria di 50mila euro nei confronti del dipendente nel frattempo andato in pensione. Quest'ultimo, per contro, si è sempre detto innocente e ha rigettato con forza l'etichetta di "furbetto del cartellino" che gli era stata (a suo dire) frettolosamente affibbiata. Com'è finita? Tramite il suo avvocato, il sessantaseienne ha deciso di patteggiare: sette mesi di reclusione e 300 euro di multa.

E dovrà corrispondere all'Asur 5mila euro, a titolo di risarcimento.

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