Gentile direttore Feltri,
sono rimasto senza parole leggendo la notizia dell'assoluzione dell'immigrato gambiano di 25 anni che, durante un controllo a San Benedetto del Tronto, ha staccato con un morso il dito a una poliziotta. Il tribunale lo ha dichiarato «incapace di intendere e di volere» e lo ha spedito per due anni in una REMS, naturalmente a spese nostre. Mi chiedo dove sia finita la giustizia. Possibile che chi aggredisce una servitrice dello Stato venga trattato come un povero malato, mentre le forze dell'ordine vengono processate (come nel caso dei sette carabinieri a Milano) per aver fatto il loro lavoro? Le chiedo, direttore: davvero in Italia chi delinque viene protetto e chi serve lo Stato viene perseguitato?
Grazie se vorrà rispondere.
Marco Federico
Caro Marco,
ormai l'Italia è diventata un Paese in cui si punisce chi difende la legge e si assolve chi la calpesta. Questa sentenza ne è l'ennesima, grottesca conferma. Un gambiano di 25 anni, con una bella lista di precedenti, come spesso accade, durante un normale controllo ha pensato bene di trasformarsi in un animale selvatico e di strappare con un morso un dito a una poliziotta. Non parliamo di una spinta, di una colluttazione, di un momento di panico. Parliamo di staccare un dito con i denti. Serve altro per capire che ci troviamo davanti a un soggetto pericoloso, violento, ostile allo Stato e alle sue regole? E, anziché punirlo come si deve, il tribunale ha deciso che il signore in questione è «incapace di intendere e di volere», cioè che lo era al momento in cui ha commesso il fatto. Guarda caso, come tutti gli immigrati quando delinquono. È incredibile: stuprano? Non erano lucidi. Rapinano? Erano confusi. Accoltellano? Erano turbati. Massacrano? Erano traumatizzati. A quanto pare, l'unica categoria priva di libero arbitrio in Italia è quella dei delinquenti stranieri. Una trovata perfetta per assolverli in automatico. Un miracolo giudiziario che non riesce mai a un italiano. Purtroppo, quando l'ideologia contamina i tribunali, la giustizia muore.
La poliziotta ha perso un dito. Ha subito un danno permanente. Una ferita che la accompagnerà per sempre. Ma si sa, chi porta la divisa non merita tutela. Al contrario, viene trattato come un intralcio, come un fastidio, come un bersaglio politico. E, mentre questo «profugo» si gusta il suo soggiorno in un «albergo statale» per due anni, a Milano sette carabinieri vengono processati per aver fatto il loro mestiere. Uno rischia addirittura di finire sotto processo per omicidio stradale per un inseguimento finito male. Capisci il paradosso, caro Marco? I criminali vengono protetti. Chi combatte il crimine viene perseguito.
È un messaggio devastante: «Non difendetevi, non difendete lo Stato, non difendete i cittadini. Se lo fate, vi processiamo». Chi mai vorrà indossare ancora una divisa? Stipendi miseri, turni infiniti, rischi quotidiani, insulti di piazza, campagne d'odio della sinistra, delegittimazione costante e in più ci si espone al pericolo di essere sbattuti alla sbarra per aver tentato di fermare un delinquente. A queste condizioni, essere carabiniere o poliziotto è un atto di eroismo supremo e di sacrificio. Siamo arrivati al punto che un immigrato che morde, rompe, disprezza, aggredisce lo Stato viene assolto e coccolato; mentre un servitore dello Stato che tenta di fermarlo rischia la carriera, il portafoglio e la libertà. È un mondo alla rovescia.
Anzi, è la resa dello Stato alla delinquenza. Non c'è nulla di giusto in questo verdetto. C'è solo un Paese senza spina dorsale, inginocchiato davanti al ricatto del pietismo ideologico. La poliziotta merita rispetto, tutela e giustizia.
Il «profugo» merita una sola cosa: il rimpatrio immediato. Perché sta ancora in casa nostra?
Siccome viviamo in un'Italia che ha paura di difendersi, ci teniamo pure i cannibali.
Viva il Terzo Mondo.