Cronaca internazionale

Addio a Daniel Ellsberg, la talpa dei Pentagon Papers

Autore di un rapporto top secret richiesto dal Pentagono sulla guerra in Vietnam, nel 1971 pubblicò i documenti sulla stampa Usa, rivelando a un Paese intero una verità fino ad allora inconfessabile. Aveva 92 anni

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Stati Uniti in lutto per la morte di Daniel Ellsberg, la talpa che nel 1971 pubblicò i cosiddetti Pentagon Papers, le carte segrete sulla guerra in Vietnam che esponevano per filo e per segno l'andamento del conflitto con un'approfondita analisi degli errori commessi da Washington. L'uomo, 92 anni, era malato di tumore al pancreas, come da lui annunciato lo scorso marzo. A dare la notizia della scomparsa, attraverso un comunicato scritto dalla famiglia, è stato il Washington Post, quotidiano che inaugurò una stagione fortunata grazie anche ai Pentagon Papers e all'intuizione dei suoi giornalisti che nel 1973 vinsero il Premio Pulitzer per la scoperta del Watergate.

La disillusione per la guerra in Vietnam

Ellsberg, contrario alla guerra, si era arruolato come marine e all'epoca lavorava come analista per la Rand Corporation, think tank militare ancora oggi legato a doppio filo al Pentagono. Il dipartimento della Difesa aveva contattato alcuni esperti per redigere un report che riflettesse in maniera imparziale e oggettiva sulle prospettive del conflitto in Vietnam, individuando le cause dell'insuccesso strategico degli Stati Uniti dopo quasi un decennio e di conseguenza ammettendo che le possibilità di sconfiggere il nemico in tempi brevi erano nulle. Fino a quel momento, la Casa Bianca non aveva mai messo in discussione l'assunto che le forze dispiegate in Vietnam potessero raggiungere il loro obiettivo.

Incriminato per aver violato l'Espionage Act nel 1973, Ellsberg riuscì a sfuggire a 115 anni di carcere venendo assolto nel maggio dello stesso anno. La contrapposizione ideologica alla scelta dei presidenti americani di invadere il Vietnam emerse in lui dopo una serie di viaggi svolti nel Paese per conto del dipartimento di Stato, nel frattempo continuando a collaborare con il Pentagono presieduto da Robert McNamara. Sempre più disilluso e convinto di dover raccontare la verità al popolo americano, Ellsberg iniziò allora a fotocopiare di nascosto tutte le pagine (oltre 7mila) del rapporto che McNamara gli aveva richiesto. E nel 1971, dopo il rifiuto di alcuni parlamentari contattati per diffondere i contenuti esplosivi dei documenti top secret, riuscì a ottenerne una prima divulgazione tramite la redazione del New York Times. Ma una sentenza del tribunale federale di Manhattan diede ragione al governo e ordinò la sospensione provvisoria delle pubblicazioni sul quotidiano della Grande Mela.

Il caso alla Corte Suprema e gli ultimi anni

Daniel Ellsberg rintracciò allora la redazione del Washington Post e presentò i Pentagon Papers al giornale della capitale, che accettò la proposta, scontrandosi nuovamente con il potere politico. Il caso finì alla Corte Suprema e 6 giudici su 9 diedero ragione alle due testate, poiché le motivazioni addotte dal governo federale non giustificano quella che era diventata una censura a tutti gli effetti. Nel 2017 questa storia, narrata dal punto di vista del Washington Post, è diventata un film, The Post, diretto dal regista Steven Spielberg e interpretato dalla coppia composta da Tom Hanks e Meryl Streep. La pellicola ha ricevuto due candidature agli Oscar.

Definito da Henry Kissinger "l'uomo più pericoloso d'America", nella parte finale della sua vita Ellsberg si è espresso contro tutti gli interventi militari del suo Paese all'estero, in particolare quelli post-11 settembre in Afghanistan e in Iraq, mentre nel 2012 ha fondato l'associazione no-profit Freedom of the Press Foundation.

L'America e il mondo perdono un baluardo storico della libertà di stampa, una figura entrata nei libri di storia per aver ascoltato la sua coscienza. Un uomo solo contro il tentacolare complesso militare industriale americano denunciato per primo da Dwight Eisenhower e capace di segnare e perfezionare il percorso democratico di una nazione fino ad allora forse parecchio immatura. Sfidando prima di tutto sé stesso e un governo responsabile di tanti, anzi troppi errori in un periodo dove in nome di una sacrosanta lotta contro il comunismo globale non erano concessi passi falsi.

Negli ultimi anni l’impegno per una società consapevole e informata non si è mai fermato, tornando ad attaccare l'amministrazione Biden per il caso di Julian Assange, da taluni indicato – forse impropriamente – come il suo erede.

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