Le esercitazioni militari cinesi in corso intorno a Taiwan mostrano con sempre maggiore chiarezza quale sia la strategia di Pechino in caso di crisi nello Stretto. Più che a un'offensiva, il Dragone punterebbe a un blocco navale e aereo mirato capace di soffocare l'isola e, soprattutto, di interrompere l'eventuale arrivo in loco di armi statunitensi. Nel secondo giorno delle manovre militari su larga scala, l'Esercito Popolare di Liberazione (PLA) ha condotto esercitazioni a fuoco vivo a nord, sud ed est di Taiwan, lanciando razzi in mare e simulando operazioni di accerchiamento. Le attività, coordinate dal Comando del Teatro Orientale, hanno incluso l'uso di droni, sistemi missilistici avanzati e unità anfibie, con l'obiettivo dichiarato di dimostrare la capacità cinese di imporre un blocco totale del territorio controllato da Taipei.
La strategia della Cina per Taiwan
Secondo il South China Morning Post, le forze armate cinesi hanno colpito aree marittime molto vicine alle acque territoriali taiwanesi, arrivando fino alla linea delle 24 miglia nautiche. Da Pingtan, nella provincia del Fujian – a poco più di 120 chilometri da Taiwan – sono stati lanciati razzi PCL-191, uno dei più moderni sistemi a lancio multiplo su camion in dotazione al PLA, in grado di coprire gran parte dell’isola. I numeri danno la misura dell'intensità delle esercitazioni: in una sola giornata Taipei ha rilevato 71 sortite aeree cinesi, 13 navi militari, 15 unità della guardia costiera e diverse imbarcazioni coinvolte in simulazioni anfibie. Nelle 24 ore precedenti, il totale degli aerei cinesi rilevati era salito a circa 130, il dato giornaliero più alto dell’anno, con numerosi attraversamenti della cosiddetta linea mediana nello Stretto.
In ogni caso, il messaggio politico-militare più rilevante inviato dalla Cina emerge dalla dimensione navale e commerciale delle manovre. La guardia costiera cinese ha infatti diffuso un poster intitolato “Chokehold” (presa alla gola), che raffigura Taiwan circondata da navi e elicotteri, mentre un mercantile viene fermato: a bordo, sistemi missilistici statunitensi HIMARS. Un riferimento tutt'altro che simbolico. Negli ultimi anni, infatti, Taiwan ha utilizzato navi civili per trasportare armamenti americani, inclusi carri armati Abrams e sistemi missilistici. Il messaggio di Pechino è chiaro: in caso di crisi, le prime a essere fermate sarebbero le rotte logistiche, non solo militari ma anche commerciali, che collegano Taiwan agli Stati Uniti e ai loro alleati.
L'importanza del blocco
Bloccare le forniture di armi significherebbe indebolire rapidamente la capacità difensiva dell’isola senza dover affrontare subito i costi enormi di uno sbarco diretto. Le esercitazioni, battezzate “Justice Mission 2025”, tuttavia, hanno incluso anche simulazioni di attacchi di decapitazione, con riprese di basi aeree taiwanesi considerate strategiche, come quella di Hsinchu, che ospita i caccia Mirage 2000. A est dell'isola, lontano dalla costa cinese, il PLA ha provato sbarchi, prese di porti e l'impiego di grandi navi d'assalto anfibio. Il contesto internazionale rende il quadro ancora più teso. Le manovre arrivano subito dopo l'approvazione da parte di Washington di una vendita record di armi a Taiwan, pari a oltre 11 miliardi di dollari.
Mentre gli Stati Uniti mantengono una posizione ufficialmente prudente, Pechino ribadisce che Taiwan è parte integrante della Cina e che l’uso della forza resta un'opzione.
Taipei ha intanto condannato duramente le esercitazioni, parlando di provocazione irresponsabile, e ha risposto dispiegando missili antinave supersonici Hsiung Feng III nel sud dell'isola. Certo è che il segnale che arriva da Pechino è inequivocabile: la vera arma non è l'invasione, ma il blocco.