Gentile Direttore Feltri,
ogni volta che un immigrato accoltella o stupra una donna ci viene spiegato che è «disagiato», «fragile», «con problemi psichiatrici». È accaduto anche a Parigi, dove un uomo ha accoltellato tre donne, una delle quali incinta, e ancora una volta si parla di follia.
È possibile che siano tutti pazzi?
Erica Lucchesi
Cara Erica,
la tua perplessità è più che legittima. Anzi, è l'unica reazione razionale rimasta davanti a una narrazione che ormai rasenta il ridicolo. Se prendessimo sul serio ciò che ci viene raccontato ogni volta, dovremmo concludere che l'Europa abbia accolto negli ultimi anni un esercito di squilibrati, scappati dai manicomi africani, tutti accomunati da un curioso dettaglio, lo squilibrio mentale, tale da condurli, una volta giunti nel vecchio continente, ad accoltellare, stuprare o aggredire donne per strada.
La verità è molto più semplice ma anche molto più scomoda: l'alibi della pazzia è diventato uno strumento ideologico, costruito per evitare di affrontare le conseguenze di decenni di politiche sbagliate. È una scorciatoia narrativa che serve a non pronunciare mai la parola che terrorizza di più una certa parte politica: responsabilità. Responsabilità individuale, certo, ma anche responsabilità collettiva e politica. Quando un immigrato illegale, già destinatario di un ordine di espulsione, accoltella tre donne a Parigi, e una di queste è incinta, non siamo davanti a un caso clinico isolato. Siamo davanti all'ennesimo episodio di una casistica enorme, ripetitiva, sempre uguale a se stessa, che si ripresenta in Francia come in Italia, in Germania come in Belgio. Cambia la città, non cambiano dinamiche e circostanze. E quando queste si ripetono così spesso, non si tratta più di eccezioni, bensì di un sistema che non funziona. La cosa più ipocrita di tutte è che le principali vittime di questa follia sono proprio le donne, le stesse donne che la sinistra europea dichiara di voler difendere, tutelare, emancipare. Un femminismo che non vede, o finge di non vedere, per comodità e imbarazzo, che le donne accoltellate, stuprate, aggredite sono sempre più sovente vittime di soggetti entrati illegalmente nel nostro continente è un femminismo di facciata, da convegno, da corteo. Non è difesa delle donne, è propaganda, è difesa della illegalità. E allora cosa si fa? Si ricorre alla giustificazione psichiatrica. Si sostiene che l'autore del crimine sia «instabile», che avesse problemi, che non stesse bene. Così nessuno è colpevole fino in fondo. Così il delinquente diventa una vittima e la vittima vera, ossia la donna ferita, violentata, uccisa, scompare dal racconto. È un rovesciamento morale che definire perverso è poco. È ingiustizia travestita da umanità.
Questo è il cortocircuito ideologico della sinistra: dopo aver celebrato per anni l'immigrazione incontrollata come una risorsa, dopo aver accusato chiunque sollevasse dubbi di razzismo e xenofobia, oggi non può fare i conti con i risultati concreti di quelle scelte. E allora giustifica, attenua, minimizza, perdona, si gira dall'altra parte, fa spallucce. Perché ammettere che quelle politiche hanno prodotto insicurezza, disordine e violenza e che i primi a pagarne le conseguenze siano proprio le femmine significherebbe confessare un fallimento storico.
No, non sono tutti pazzi gli immigrati che delinquono. Sono persone che commettono crimini e devono risponderne, senza attenuanti automatiche, senza alibi prefabbricati. La pazzia non può essere la spiegazione universale del male, altrimenti la giustizia diventa un'opinione e la legge una barzelletta. Un'Europa che rinuncia a chiamare le cose con il loro nome non è più civile, è soltanto vigliacca.
E finché continueremo a narrare la favola dei «fragili» per non guardare in faccia la realtà, le donne continueranno a pagare il prezzo più alto di questa colossale
menzogna. Se fossi donna, sarei incazzato il triplo. Di sicuro non scenderei in piazza per marciare contro il patriarcato che non esiste, ma mi ribellerei alla cultura giustificazionista che assolve il criminale se è forestiero.