Cronaca internazionale

In Iran la colpa è (anche) nostra

Ragazze ammazzate in Iran ed escluse dalle scuole e dalle università in Afghanistan.

In Iran la colpa è (anche) nostra

Ragazze ammazzate in Iran ed escluse dalle scuole e dalle università in Afghanistan. Alla fine, pure il Presidente Mattarella ha sbottato: «Quanto sta avvenendo in queste settimane in Iran supera ogni limite e non può, in alcun modo, essere accantonato». L'impulso è di mandare un esercito a spazzare via quella feccia umana. E magari sarebbe pure la cosa giusta da fare. Invece pare sia l'unica che proprio non riusciamo a fare. Dall'Afghanistan siamo appena scappati, dopo esserci stati vent'anni e sempre con la valigia pronta, impazienti di andar via. Eppure in quegli anni hanno vissuto come mai prima, assaporando una vita che ora gli viene negata, ributtati nel medioevo della peggiore dottrina islamica. Fino al 2001 facevamo spallucce per le donne massacrate in strada da Talebani, ma inorridimmo quando fecero saltare i Buddha di Bamiyan e intervenimmo solo dopo le 2 Torri. Per l'Iran è lo stesso. Tanti esultarono nel '79 quando degli invasati sostituirono lo Scià con un prete, che ha rigettato nei secoli bui una delle società islamiche più moderne, dove le donne erano ingegneri in minigonna. Certo, lo Scià era amico dell'America e dunque il suo nemico divenne automaticamente un rivoluzionario di sinistra. L'islam è una parte del problema. La religione è popolare e inclusiva per natura. Se sei costretto a imporla con violenza vuol dire che non funziona. Impietoso il confronto col cristianesimo, che dura da più tempo accompagnando la società più progredita e peccatrice mai esistita. Facciamo praticamente tutto ciò che ci piace, anche contro i comandamenti, senza che questo crei conflitti: com'è possibile? Semplice, la nostra religione contempla il peccato. Di più, se ne serve per accogliere i fedeli, o presunti tali, nel sacramento della confessione. Geniale frutto dell'insuperata cultura greca, da cui sarebbe scaturita secoli dopo l'invenzione del purgatorio. Ma noi? Come osiamo condannare queste dittature criminali e sanguinarie, senza alzare un dito per fermarle? Come lasciamo che vengano uccise per un velo ma litigando sulla desinenza di «presidente/a»? La nostra cultura, di ispirazione socialista e antimperialista, ci impedisce di ammettere che non sempre popoli che si autodeterminano stanno meglio. È vero, gli imperi coloniali, fatti di eserciti e governi, opprimevano le popolazioni e sfruttavano le risorse. Solo che, una volta lasciati liberi, alcuni Stati hanno prodotto faide e corruzione e ancora oggi faticano a esprimere un autogoverno che assicuri condizioni dignitose ai cittadini. Dall'altro lato, le nostre società occidentali non sono più quelle del primo 900. Più informati e meno tolleranti, mai consentiremmo a un nostro governo di perpetrare violenze e abusi su una popolazione straniera. In Vietnam l'esercito americano è stato sconfitto dall'opinione pubblica.

Le donne iraniane e afghane dovranno sbrogliarsela da sole e noi le guarderemo morire in TV, dietro la foglia di fico del rispetto della religione e dell'autodeterminazione.

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