"Iraq e Ucraina, il rischio del tifo nell'informazione": cosa significa raccontare la guerra oggi

Fulvio Scaglione modererà l'evento del 26 settembre di InsideOver. Oggi parla della sua esperienza e del rischio del tifo in politica estera

"Iraq e Ucraina, il rischio del tifo nell'informazione": cosa significa raccontare la guerra oggi

Fulvio Scaglione non ha dubbi: il giornalismo odierno, soprattutto sulla politica estera, è troppo spesso condizionato da tifoserie e visioni partigiane. Classe 1957, giornalista dal 1983, dal 2000 al 2016 vice-direttore del settimanale Famiglia Cristiana, di cui nel 2010 ha varato l’edizione on-line del giornale, Scaglione è un affermato studioso e commentatore della politica estera contemporanea, specializzato sulla Russia e sul Medio Oriente. Il 26 settembre, presso la Fondazione delle Stelline a Milano, modererà la conferenza "Raccontare la guerra oggi" organizzata da ilGiornale.it e InsideOver con Fausto Biloslavo, Giovanna Botteri, Marcello Foa, Lucia Goracci e Alberto Negri. Con lui dialoghiamo riguardo alla sua esperienza e al futuro dell'informazione sugli scenari bellici più caldi del pianeta.

"RACCONTARE LA GUERRA OGGI": ISCRIVITI ALL'EVENTO DEL 26 SETTEMBRE

Scaglione, grazie mille per la disponibilità. La sua carriera giornalistica è stata lunga e articolata. Quale ritiene siano state le esperienze più importanti che l'hanno segnata?

"Sicuramente, ritengo una svolta fondamentale nella mia carriera la nomina al ruolo di corrispondente da Mosca per Famiglia Cristiana nel 1992, che proseguì per tutto il decennio. La ritengo fondamentale non tanto e non solo per il ruolo di corrispondente in sé, che implica una maniera diversa e articolata di lavorare e approcciarsi ai problemi dell'informazione, quanto piuttosto per l'ampiezza di vedute che stare a Mosca in quel tempo complesso permetteva di sviluppare. Ai tempi collaboravo già con Avvenire ma ero corrispondente per un settimanale in una realtà dove lavoravano principalmente dei quotidianisti dei giornali e della Tv".

Cosa significò per lei l'esperienza russa?

"Significò innanzitutto lavorare fianco a fianco di validi professionisti a loro volta corrispondenti da Mosca come Fiammetta Cucurnia, Enrico Franceschini, Giulietto Chiesa. Nell'era Eltsin l'informazione italiana a Mosca vedevi operativi il massimo numero di corrispondenti a Mosca. Lavorare a Mosca ebbe poi per me una grande valenza personale. Mi sono laureato a Torino in Lingua e Letteratura straniera con una tesi a tema russo sulla cinematografia degli Anni Venti in Unione Sovietica, e questo per me chiudeva un cerchio. Infine, lavorare a Mosca mi aprì la passione per il Medio Oriente. Nel 1996 visitai l'Afghanistan allora già governato dai Talebani e da lì mi appassionai a un'area di mondo che ho raccontato a lungo"

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Da Mosca iniziò a raccontare anche le guerre. Guerre nate dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica e che continuano ancora. Quali ha seguito?

"Sono andato in Cecenia durante la prima guerra. In precedenza ho seguito i conflitti in Tagikistan e Nagorno-Karabakh. Conflitti sorti dalla fine prematura della superpotenza sovietica e dal coacervo di rivalità geopolitiche, secessionismi e nazionalismi che scatenò".

Così come la fine dell'Impero ottomano ha aperto l'inizio del caos mediorientale, così vale per l'Urss e la decomposizione del suo ex spazio imperiale. L'Ucraina di oggi si inserisce in questo contesto?

"La guerra in Ucraina fa parte della lunga fine dell’Urss. L’Urss è crollata lasciando un vuoto e essendo un grande impero multinazionale, lasciando milioni di persone in luoghi che loro o i loro connazionali non ritenevano corretti sul profilo nazionale ed etnico e lasciando inoltre dietro di sé un coacervo di odii e risentimenti. Quando Putin ha detto che la fine dell’Urss è stata la più grande catastrofe geopolitica del Novecento da noi tutti l’hanno preso come una dichiarazione di nostalgia dell’Urss. In realtà evidenziava il fatto che la nascita di quindici Paesi in pochi mesi a partire dal 1991 non poteva non creare frizioni sul medio-lungo periodo. Soprattutto se in molti di questi Paesi esiste una ragione di risentimento verso la casa madre"

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Questa complessità spesso è negata dalla nostra informazione...

"Registro con tristezza che ci sono dei momenti in cui a prescindere dalle ragioni delle parti in campo il sistema informativo occidentale si allinea come un sol uomo dietro determinate posizioni, rifiutando di discutere quelli che diventano dei veri e propri dogmi. Nel 2003 sull’Iraq bisognava dire che l’invasione era giusta e avrebbe prodotto dei vantaggi, prima fra tutte la fine delle indiscutibili armi di distruzione di massa. Ricordo una copertina dell’Economist che spiegava, nell’aprile 2003, la fine dell’era del petrolio e del ricatto del greggio da parte del Medio Oriente. Si prevedeva che il petrolio poteva arrivare a costare un dollaro al barile, previsione fallimentare. Questo dimostra un fatto: sul fronte informativo, quasi ogni pronostico e giustificazione si è rivelato fallace per quanto riguarda quella guerra. Con l’Ucraina sta succedendo la stessa cosa".

Cosa la preoccupa in particolare?

"In questa guerra, come successo con l’Iraq, è abbastanza facile stimolare il senso del tifo. E il tifo da stadio applicato alle estreme conseguenze può creare rischi e visioni distorte della realtà. In Iraq c’era Saddam Hussein, qui un Paese invaso e “vittima” per definizione, portando al grande pubblico la questione in termini di derby tra “Bene” e “Male”. Criticare questo tipo di atteggiamento finisce per non incidere sulle considerazioni finali di questa crisi. Ovviamente, è indubbio che questa guerra sia esplosa con l'invasione russa dell'Ucraina. Ma questo non deve lasciar perdere riflessioni a tutto campo sulle sue conseguenze geopolitiche per tutto il pianeta".

Ormai sembra che tra filorussi accaniti e fautori della vittoria accanita ucraina ci sia una tribalizzazione vera e propria, non trova?

"Proliferano generalizzazioni ridicole dall’una e dall’altro lato e che spesso hanno delle firme importanti alle spalle. Mi consolo con una constatazione: queste firme importanti spesso sono le stesse che scrivevano articoli e considerazioni fuorvianti sull’Iraq.

C’è della logica in questa follia, ma per fortuna d'altro canto ci sono fonti dialettiche, critiche, obiettive e intelligenti che guardano alle conseguenze di medio-lungo periodo degli eventi. E provano a difendere l'informazione di qualità".

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