
Ciò che non fece Maometto lo ha fatto Mammona. Una sentenza di un tribunale egiziano ha di fatto espropriato, dopo 1500 anni, il monastero di Santa Caterina sul Sinai, il più antico monastero cristiano esistente. Sarebbe facile incolpare l’Islam, come molti hanno fatto all'uscita della notizia. Ma il vero colpevole è un altro.
Sul Sinai, ai piedi del monte Horeb, secondo la tradizione Mosè incontrò il roveto ardente, incontrò il Dio indicibile che gli si manifestò. E gli diede le tavole della Legge. Proprio lì, in quel sito intriso di eternità, sorge il monastero di Santa Caterina. Ed è lì di certo dai tempi di Giustiniano, probabilmente da tempi ancora più remoti. Almeno 1500 anni di storia tessono un’aura sacrale intorno a quel luogo. Quel roveto ardente ha continuato a parlare la lingua di Dio, sussurrando con la sua voce ai primi cristiani. Maometto stesso inviò una lettera che garantiva protezione, fatto che salvò il monastero dalla successiva islamizzazione del paese. Da allora è un simbolo di convivenza pacifica, così rara, fra cristiani e musulmani. Neppure Napoleone nelle sue campagne tentò di sostituire la fiamma del roveto con quella del nuovo mondo rivoluzionario e delle sue nuove divinità. Nel 2002 il monastero è anche stato dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO.
Lo status quo prevedeva che la proprietà del monastero fosse della chiesa greco ortodossa, come recita anche il documento dell’UNESCO. Ancora poche settimane fa questo dato sembrava consolidato. Ora, per la prima volta, un tribunale egiziano ha provato a spegnere quel fuoco. Anzi, a impossessarsene. Ma dietro al tribunale c’è ben altro. Dopo il ribaltamento dello status quo si sono alzate voci di protesta, dal primo ministro greco Mītsotakīs a vari esponenti della galassia ortodossa.
E subito, di fronte alle prime rimostranze, ha parlato chi sta dietro a questa decisione. Il presidente egiziano al-Sisi si è infatti affrettato a sminuire ciò che è avvenuto, dichiarando che addirittura questo gesto – l’esproprio – consoliderà lo status protetto del monastero. Peccato che comunque intanto è diventato di proprietà dello Stato egiziano. Si parla, neppure troppo nascostamente, di progetti turistici, di città futuristiche, di megalopoli che brillano di vetro e cemento, in un disegno che vuole attirare turisti occidentali nel Sinai. E in sottofondo mormorano voci del coinvolgimento della vicenda del monastero in un accordo fra Egitto e Grecia che riguarda nuove e potenti forniture energetiche.
Dunque in nome di quale Dio hanno messo le mani sul roveto ardente, su uno dei simboli più antichi della divinità monoteista? Non certo nel nome di quel Dio indicibile che ardeva nel roveto e che lì ha dato all’umanità i dieci comandamenti; né in nome di quel Dio cristiano incarnato che i monaci per secoli hanno portato nelle vite quotidiane e che vorrebbero continuare a portare. E neppure nel nome di quell’Allah che pregava Maometto, il quale al monastero aveva riservato rispetto e protezione.
Il dio che
scuote le menti dei contemporanei, di qualunque religione apparente siano, è uno solo: Mammona. La divinità che vuole trasformare il silenzio in tintinnio, le preghiere in biglietti, la fede in danaro. E i devoti in turisti.