Dopo aver reso la vicenda giudiziaria di Ilaria Salis (nella foto) un caso mediatico, negli ultimi giorni abbiamo assistito a una vera e propria politicizzazione del processo a suo carico in Ungheria. Prima la delegazione in pompa magna dei parlamentari di sinistra nell'aula di tribunale di Budapest, poi l'ipotesi della candidatura con il Pd, infine l'appello rivolto alla Salis e a suo padre «non siete soli, vi sostiene l'Italia antifascista» a cui Roberto Salis ha prontamente risposto affermando in una lettera a Repubblica: «Non si può stare a guardare questi tentativi di riesumazione dell'ideologia nazista o fascista».
Tra accuse al governo, appelli all'antifascismo, possibili candidature all'Europarlamento, il caso di un'italiana imputata in un paese straniero è diventato terreno di scontro politico. La prima conseguenza è che tutta questa attenzione mediatica non fa bene alla Salis, regola aurea della diplomazia è cercare di risolvere le questioni più delicate lontano dalle telecamere, tutto il contrario di ciò che è avvenuto in questa occasione. Così come il suo processo è un caso mediatico in Italia, lo è diventato anche in Ungheria suscitando reazioni nell'opinione pubblica.
La seconda conseguenza è confondere due piani tra loro distinti: quello delle condizioni carcerarie e quello del processo. Se per quel che riguarda le condizioni di detenzione non c'è dubbio sulla necessità di garantire il rispetto dei diritti, al tempo stesso è necessario non confondere questo tema con le vicende processuali. Le accuse del procuratore capo di Budapest rivolte a Ilaria Salis sono infatti molto serie e, se il condizionale è d'obbligo sulla sua colpevolezza e attendiamo l'esito del processo, va però ricordato che è stata fermata con un manganello retrattile in tasca ed è accusata di essere «membro di un'organizzazione criminale» e di «tentate lesioni personali che mettono in pericolo la vita». Cercare perciò di far passare la Salis, che in Italia ha collezionato 29 denunce e varie condanne, come una moderna Mahatma Gandhi che combatte per la libertà è quantomeno fuori luogo. Così come è fuori luogo proporre di candidarla all'Europarlamento (anche se questa è più una questione che riguarda il Pd che non a caso è spaccato su questa eventualità).
Mentre in Italia a sinistra è una corsa a chi si fa vedere più vicino alla Salis, dall'Ungheria arriva una doccia fredda. Il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs ieri è intervenuto con parole molto chiare sulla vicenda: «Dobbiamo chiarire che nessuno, nessun gruppo di estrema sinistra, dovrebbe vedere l'Ungheria come una specie di ring dove venire a pianificare di picchiare qualcuno a morte. E no, nessuna richiesta diretta del governo italiano (o di qualsiasi altro importante media) al governo ungherese renderà più facile la difesa della causa di Salis, perché il governo, come in qualsiasi altra democrazia moderna, non ha alcun controllo sui tribunali».
Alla luce della politicizzazione a cui stiamo assistendo del caso Salis, sorge spontaneo chiedersi se
fosse accaduto lo stesso nei confronti di una detenuta italiana in un paese straniero non governato da Orbán ma da un esecutivo di sinistra. Chissà se le proponevano una candidatura all'Europarlamento anche in quel caso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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