Cronaca locale

Roma, mafia cinese sgominata in Italia, 47 arresti: un pentito rivela tutto

Sono 47 gli arresti con l'accusa a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico nazionale e internazionale di sostanze stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. La cellula madre era a Prato, quella satellite a Roma

Roma, mafia cinese sgominata in Italia, 47 arresti: un pentito rivela tutto

I Carabinieri del comando provinciale di Roma, tra il Lazio, la Toscana e la Grecia, hanno dato esecuzione a un'ordinanza che dispone l'applicazione di misure cautelari nei confronti di 47 cittadini cinesi, filippini e italiani, 19 custodie cautelari in carcere, 16 arresti domiciliari e 12 divieti di dimora nell'ambito della mafia cinese. Sono tutti gravemente indiziati a vario titolo per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico nazionale ed internazionale di sostanze stupefacenti del tipo metamfetamina ed associazione per delinquere dedita allo sfruttamento della prostituzione. Tutto questo è avvenuto grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia di nazionalità cinese: un unicum in ambito giudiziario in virtù del forte ermetismo che permea le organizzazioni criminali asiatiche. Si è così andati a scoprire l'esistenza di una solida struttura criminale di tipo associativo, gestita da cittadini cinesi, attiva nel traffico nazionale ed internazionale di metamfetamine (shaboo, yaba, ketamina), nonché dedita allo sfruttamento della prostituzione.

La struttura dell'organizzazione

Dedita al traffico di droga e allo sfruttamento della prostituzione la struttura includeva una "cellula madre" a Prato e un'altra "cellula satellite" nella Capitale, entrambe capeggiate da donne cinesi capaci di dettare rigide regole di comportamento. Non solo: ogni consegna avveniva sotto il controllo della capo cellula di Prato, vertice di fatto di tutta l'organizzazione. Questa, per i carichi diretti a Roma, aveva imposto, sia alla 'collega' della cellula romana sia ai fornitori cinesi in Grecia, il pagamento di un vero e proprio "dazio" di un euro a testa, da versare direttamente a lei, per ogni grammo di stupefacente introdotto in Italia. Secondo gli investigatori, il gruppo aveva stabilito un solido canale di approvvigionamento con la Grecia potendo contare della presenza su quel territorio di due connazionali cinesi (destinatari di mandato d'arresto europeo) capaci di far giungere in Italia ingenti quantitativi di stupefacente attraverso corrieri, imbarcati su voli di linea, oppure tramite spedizioni postali internazionali.

Come raccontato dal pentito, una volta sul territorio nazionale, la droga veniva movimentata in auto, taxi cinesi oppure in treno, per poi essere rivenduta "all'ingrosso" a pochi e noti acquirenti cinesi o filippini. Solo in casi eccezionali, era assegnata anche a italiani fidati, autorizzati successivamente a rivendere in proprio e al dettaglio lo stupefacente che finiva nelle varie piazze di spaccio della capitale.

Del resto, proprio seguendo gli spostamenti dello stupefacente, i militari hanno accertato che veniva utilizzato dalla cellula romana per rifornire una discoteca trasformata in una vera e propria "casa d'appuntamenti", accessibile solo a clienti di nazionalità cinese ai quali le ragazze sfruttate, anch'esse connazionali, offrivano prestazioni sessuali e droghe sintetiche sotto il controllo serrato dei responsabili scelti fra gli affiliati di maggiore spessore criminale.

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