È stata una giornata strana quella di oggi per quanto riguarda l’inchiesta di corruzione al vaglio della procura di Brescia, inchiesta che in un certo senso tange il delitto di Garlasco. Perché i due indagati sono Mario Venditti, il pm che nel 2017 archiviò per la seconda volta Andrea Sempio, e il padre di quest'ultimo, Giuseppe Sempio. Corrotto e corruttore secondo l’ipotesi dell’accusa, tutta da dimostrare, ma l’udienza di oggi al Tribunale del Riesame ha riservato una grande sorpresa: l’assenza del pubblico ministero.
“Pensavo - ha detto Venditti in un’intervista rilasciata a Gianluigi Nuzzi per Dentro la Notizia, poi ritrasmessa a Quarto Grado - sinceramente che avrebbero depositato i tre verbali degli ultimi due giorni, quelli delle sit, degli avvocati e con mia grande sorpresa non c’era neanche il pubblico ministero. Secondo me è stata una grave scorrettezza quella di non depositare i verbali resi dall’avvocato Lovati e dagli altri due avvocati che si erano occupati della difesa di Sempio”.
Gli avvocati sarebbero appunto i tre legali che avevano seguito Andrea Sempio nel 2017, ovvero Massimo Lovati, Federico Soldani e Simone Grassi. Che avrebbero dichiarato come i movimenti finanziari insoliti registrati sui conti dei Sempio nel 2017 - movimenti che hanno attirato l'attenzione degli inquirenti della procura di Brescia - avrebbero rappresentato in realtà i loro cachet. Nessuna corruzione, dunque, Secondo Venditti, queste dichiarazioni indeboliscono l’impianto accusatorio nei suoi confronti: “Io dovrei essere il corrotto, quello che ha percepito, il destinatario finale di questi movimenti di denaro. Questi movimenti di denaro si sono fermati agli avvocati di Sempio”.
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In una intervista dei mesi scorsi a Quarto Grado, Venditti si sarebbe detto convinto dell’innocenza di Sempio in merito all’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007. Ha dichiarato infatti in quella sede di averci messo 21 giorni per archiviare, ma avrebbe potuto metterci 21 secondi. E ancora ne sarebbe convinto, oggi se Sempio è nuovamente indagato, parlando di eccesso di zelo in merito alla prosecuzione dell’indagine di allora: “Oggi mi correggo, rileggendo tutti gli atti negli ultimi giorni: mi sarei dovuto fermare a gennaio 2017, non avrei dovuto proseguire nelle indagini. Mi sarei dovuto fermare nel momento in cui c’è stato il pronunciamento della corte d’appello di Brescia sull’inammissibilità della revisione.
Mi dovevo fermare in quel momento, come ha rimarcato il gip nel suo decreto di archiviazione dove ha detto chiaramente che mi sarei dovuto fermare a quel punto e che aver fatto delle indagini - quelle che sono oggi all’ordine del giorno, sotto esame - sono dovute a un mio eccesso di zelo”.