Quel dna maschile trovato sugli slip di Lilly

La famiglia di Liliana Resinovich si opporrà alla richiesta di archiviazione: i dubbi sollevati dai periti di parte sono tantissimi

Screen ricostruzione "Chi l'ha visto?"
Screen ricostruzione "Chi l'ha visto?"

A fine marzo la famiglia di Liliana Resinovich presenterà la documentazione per opporsi alla richiesta di archiviazione della procura, al fine di proseguire le indagini sulla morte della donna. Se per la procura di Trieste si tratta di suicidio, la famiglia è molto scettica e i periti di parte hanno reso note le principali perplessità sul caso.

Liliana detta Lilly scomparve la mattina del 14 dicembre 2021. Fu ritrovata morta il 5 gennaio 2022 nel boschetto nei pressi dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. Le indagini si sono svolte in due direzioni: suicidio o sequestro di persona, fino alla richiesta di archiviazione, avvenuta a febbraio 2023.

Così la famiglia, in testa il fratello di Liliana Sergio Resinovich affiancato dall’associazione Penelope, ha contattato e chiesto una perizia ai docenti universitari di medicina legale Vittorio Fineschi e Stefano D’Errico, oltre che al genetista Nicola Caprioli. Sicuramente la famiglia chiederà al gip di proseguire le indagini e molto probabilmente di riesumare il corpo.

A Chi l’ha visto? sono state esposte alcune delle ragioni degli esperti in merito alla richiesta di archiviazione. In primo luogo - eventualità di cui non si era ancora mai parlato - oltre al Dna maschile sul cordino, è stato trovato del Dna maschile anche sugli slip di Liliana, sia nella zona vaginale sia sull’elastico destro in zona inguinale. Inoltre il cordino conteneva una traccia ematica che fa sollevare altri dubbi, mentre sotto le unghie di pollice e anulare della mano destra ci sono le tracce di almeno altre due persone oltre a Liliana.

Fineschi e D’Errico hanno quasi completato la loro consulenza. “Abbiamo trovato plurime lesività, che vengono all’inizio descritte, e che poi inspiegabilmente non ritroviamo più nella discussione e anche nella descrizione autoptica”, ha commentato alla trasmissione il professor Fineschi.

Le lesività consistono nelle tumefazioni al volto che non sarebbero state interpretate, in un ematoma sul lato sinistro della testa nella zona temporale sopra l’orecchio e in alcune escoriazioni sul dorso della mano destra. Fineschi ha spiegato che le escoriazioni sono dovute solitamente a “graffiature o afferramenti” e che “l’ipotesi che la signora sia caduta (come afferma la richiesta di archiviazione, ndr) è un’ipotesi che si basa sul nulla, perché non abbiamo dati di altra parte anatomica interessata da questa caduta”. Tra l’altro chi cade di solito è portato d’istinto a proteggersi coi palmi, non con i dorsi delle mani.

Fineschi ha raccontato inoltre che in letteratura sono annoverate vicende di suicidio per soffocamento in condizioni simili a quelle in cui è morta Lilly, ma c’è una differenza: manca la contestuale assunzione di sostanze che avrebbero potuto favorire l’oblio sulle facoltà della donna e l’istinto all’autoconservazione. Il professore tuttavia concorda con la morte per asfissia.

Uno dei nodi più dibattuti riguarda la data della morte di Liliana. Secondo Fineschi, nella richiesta di archiviazione sono contenuti errori ricostruttivi, ovvero: quando è morta Lilly rispetto al ritrovamento, alla Tac, all’autopsia o all’esame esterno? In altre parole la documentazione dice che la donna è morta fino a 64 ore prima, ma non sarebbe espresso prima di cosa, considerando che gli esami sono durati dal 6 al 10 gennaio.

Sulla documentazione non è indicata la temperatura e si parla di corpo rigido al ritrovamento tranne che per una zona in corrispondenza della rachide cervicale, dettagli che l’esperto ha bollato come “dati soggettivi”.

Fineschi però ritiene che sia tra le tante possibilità l’ipotesi che il corpo sia stato conservato a basse temperature.

Tra l’altro la mano e il piede sinistri di Liliana erano bagnati, e presentavano l’avvio di un processo di macerazione, che avviene quando il corpo soggiorna in acqua, in un luogo a un tempo umido e acquoso, come potrebbe essere una grotta, una foiba (come le tante presenti sul Carso), una ghiacciaia o un pozzo. “Al momento è tutto da scrivere questo caso. Sulla data della morte e le modalità è ancora tutto da verificare”, ha concluso Fineschi.

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