Caro dottor Feltri,
Ci meravigliamo continuamente della violenza sempre più invasiva nella nostra società, ma non ritiene che anche la cinematografia contribuisca ad alimentare il fenomeno? Centinaia di film «crime», racconti di feroci omicidi, storie di tremendi serial killer, sparatorie e violenza di una crudeltà disumana sono proposti quotidianamente dalle tv di Stato e private su tutti i canali disponibili. Non ritiene questo aspetto pericoloso per l'influenza emulativa che può generare?
Un saluto affettuoso.
Roberto Spiritelli sr
Caro Roberto,
la tua domanda è legittima e antica quanto i mezzi di comunicazione: la violenza cresce perché la vediamo in tv? Ogni epoca ha avuto il suo capro espiatorio: i romanzi d'appendice, il jazz, i fumetti, il rock, i videogiochi, oggi le serie «crime» e il rap (così si chiama?). Il rischio è sempre lo stesso: semplificare un fenomeno complesso fino a farlo diventare caricatura. Ti dico subito la mia, in modo chiaro: attribuire a film e tv il dilagare della violenza è una scorciatoia mentale. Può esistere un effetto di «attivazione» momentanea su soggetti già fragili, certo; possono esistere rari episodi di emulazione, ovvio; ma non c'è prova seria che l'esposizione a prodotti violenti trasformi persone equilibrate in criminali. Se fosse così, in un Paese dove milioni di cittadini guardano thriller e true crime, dovremmo avere i marciapiedi pieni di serial killer. Che ne pensi? Non è così.
Che cosa sostiene la ricerca? In estrema sintesi, alcuni studi rilevano piccole associazioni tra consumo di contenuti violenti e comportamenti aggressivi nel brevissimo periodo (irritabilità, linguaggio più duro). Sono effetti modesti e transitori, non assimilabili a reati violenti. Altre ricerche, ridimensionano o non confermano queste associazioni e, soprattutto, non trovano legami con la criminalità reale. Correlazione non significa causalità: chi cerca contenuti duri magari è già più impulsivo o arrabbiato di suo, non lo diventa per colpa del film. I casi di emulazione vera e propria esistono ma sono eccezioni e quasi sempre riguardano persone con vulnerabilità preesistenti, ossia che presentano disturbi psichici, abuso di sostanze, personalità antisociali, solitudini patologiche. Insomma, amico mio, l'intrattenimento può colorare l'umore, non fondare un carattere. A formare (o deformare) una persona sono la famiglia, la scuola, il contesto sociale, la cultura della legalità, la certezza della pena, l'eventuale disagio psichico non curato. È lì che si gioca la partita, non nel telecomando, suvvia.
C'è poi un dato che invita alla prudenza prima di puntare il dito contro gli schermi. In Italia gli omicidi sono crollati in costante diminuzione da decenni. Di contro, aumentano ultimamente i reati su strada come furti, aggressioni e rapine. Se i film violenti fossero il motore della violenza, i grafici dovrebbero salire e scendere con il palinsesto, invece non si muovono con la programmazione, ma con fattori concreti: degrado urbano, impunità percepita, droga a basso costo, baby gang, immigrazione irregolare non gestita, assenza di controllo del territorio. Realtà, non fiction. Ti confesso anche un fastidio culturale: la censura travestita da pedagogia. Oggi va di moda l'idea che per avere cittadini buoni si debbano fornire solo contenuti «buoni». È infantilismo. L'adulto non dev'essere protetto dalla realtà, dev'essere educato a capirla. Portata all'estremo, la sua tesi ci porterebbe a guardare solo cartoni Disney e a spegnere i telegiornali, perché anche l'informazione racconta crimini. Sarebbe assurdo.
Che cosa si può fare, allora, di serio e non demagogico? Puntare sull'educazione, a casa e a scuola. Si insegni la differenza tra giusto e sbagliato, tra realtà e finzione, tra libertà e responsabilità. Senza questa bussola, qualsiasi contenuto può diventare tossico. Inoltre, credo che chi ha fragilità psichiche o vive isolamento estremo vada intercettato. Qui servono servizi veri, non editoriali. Indispensabili pure la certezza della pena, il controllo delle strade, il contrasto a droga e degrado. È tutto questo che riduce la violenza reale, non la cancellazione di una serie tv.
Non credo nella bontà intrinseca della tv (spesso pessima), mi uccide di
noia, ma credo ancora meno nella favola che basti spegnere uno schermo per accendere le coscienze. La violenza nasce dove saltano i legami, dove manca l'educazione, dove lo Stato arretra. Il resto è rumore di fondo.Grazie.