Garlasco, continua il giallo sulle suole. E dal santuario della Bozzola arriva la diffida

Quali perplessità continuano a sollevare le impronte trovate sulla scena del crimine di Garlasco attribuite ad Alberto Stasi, condannato nel 2015 per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi

Screen Ore 14 Sera
Screen Ore 14 Sera

L’impronta delle scarpe ritrovate nella scena del crimine del delitto di Garlasco apparteneva davvero ad Alberto Stasi? È la domanda che - sembra - si sia posta anche la procura di Pavia, che due mesi fa avrebbe contattato l’azienda produttrice di suole, che all’epoca realizzava quell’ormai celebre pattern a pallini per Frau.

Fare chiarezza sulla questione potrebbe essere molto importante. Stasi è infatti stato condannato anche in base a quell’indizio nel processo di appello bis del 2014 - poi confermato in Cassazione l’anno successivo. E se non c’era Stasi sulla scena del crimine in cui il 13 agosto 2007 fu uccisa Chiara Poggi, quell’impronta appartiene a qualcun altro. Ma a chi?

Il giallo delle suole sulla scena del crimine

Bisogna fare un passo indietro per capire meglio. Durante il processo di appello bis a carico di Stasi venne stabilito che quell’impronta appartenesse a una scarpa Frau in possesso dell’imputato. Tuttavia i Ris non definirono modello e marca, ma solo che l’impronta misurasse 27 centimetri con un margine di errore di mezzo centimetro: le misurazioni standard indicano però questa misura tra il 42,5 e 43,5.

Per risalire a marca e modello, venne effettuata una consulenza tecnica del professor Aldo Mattei. Così, mentre si discute dell’argomento nella trasmissione “Ore 14 Sera”, la legale di Stasi Giada Bocellari chiama in trasmissione fornendo alcune precisazioni sulla metodologia utilizzata: stando al racconto di Bocellari, Mattei avrebbe intinto le scarpe con la suola a pallini nell’inchiostro, lasciando un’impronta statica su fogli di carta. I fogli sarebbero poi stati confrontati con i lucidi dell’importa al luminol sulla scena del crimine, impronta che non era stata fotografata in maniera ortogonale. Alla fine venne ritenuto che la scarpa più compatibile misurasse il 42.

La trasmissione di Rai 2 ha contattato l’azienda marchigiana che al tempo produceva le suole per Frau - che tra l’altro non sono a pallini ma piccoli rombi: l’azienda dapprima ha affermato che le suole venivano prodotte da altri, e successivamente che in effetti erano loro produzione ma non hanno più nulla perché non ne realizzano più. Chi ha parlato con “Ore 14 Sera” ha precisato di aver fornito tutte le informazioni in loro possesso a suo tempo alla procura di Pavia, oltre che due mesi fa.

La grande domanda è: quell’impronta avrebbe potuto appartenere ad Andrea Sempio, indagato nelle nuove indagini per concorso in omicidio con ignoti o con lo stesso Stasi? Pare che nel 2017, quando Sempio fu indagato per la seconda volta, non sarebbero state prese le misurazioni del piede, ma l’indagato ha, in questi mesi, mostrato le scarpe in tv.

In un’intercettazione del 21 febbraio 2017 affermava che i suoi legali gli avrebbero consigliato di non consegnare le proprie calzature agli inquirenti: “Sto vedendo che anche le altre decisioni che hanno preso sia Lovati che Soldani che a me sembravano un po’… esagerate, delle mezze c…, come non dare le scarpe, andare di qua e di là, comunque hanno avuto dei risultati positivi”.

E c’è poi la risposta che lo stesso Sempio fornì agli inquirenti durante un interrogatorio in cui gli fu domandato delle sue misure: “Ricordo che già nell’agosto 2007 portavo il 44 e lo ricordo perché all’epoca avevo degli stivaletti ma con quelli facevo fatica a guidare, quindi ho dovuto comprare un nuovo paio di scarpe numero 44. Tuttora indosso il numero 44”.

La diffida del santuario

Era un po’ nell’aria la diffida giunta dai legali che tutelano il santuario della Madonna della Bozzola. Era nell’aria nel senso che la vicenda stava rischiando di assumere i tratti della teoria del complotto.

Ci sono state le dichiarazioni dell’ex rettore don Gregorio Vitali, che a “Lo stato delle cose” si diceva fiducioso dell’emergere della verità sul presunto scandalo sessuale, l’invito di tanti giornalisti e opinionisti in tv alla cautela rispetto alle affermazioni di Flavius Savu, sull’ipotesi da lui ventilata come certezza che Chiara Poggi sia stata uccisa perché sapeva troppo sempre in merito al presunto scandalo, l’appello della legale di Sempio Angela Taccia al rispetto per la famiglia di Michele Bertani, l’amico di Sempio morto suicida nel 2016 sul quale sono state formulate anche ipotesi di legami con il santuario senza nessuna prova. Senza contare che qualcuno di tanto in tanto ha scomodato perfino la vicenda delle Bestie di Satana, che nulla hanno a che fare con il delitto di Garlasco.

Ora i legali della Bozzola scrivono “in nome e per conto della congregazione” per condannare “con fermezza il tentativo di accostare il santuario a contesti che esulino dalla sua missione”. Tra l’altro la trama in merito alla presunta pista - peraltro, a quanto è dato sapere, mai percorsa dagli inquirenti, sebbene ci si attenda nuove dichiarazioni a seguito dell’estradizione di Savu, condannato per estorsione in Italia e fino a un mese fa latitante, dalla Svizzera - appariva abbastanza confusa.

L’avvocato Massimo Lovati aveva infatti lanciato l’ipotesi di un sicario che avrebbe ucciso Chiara Poggi per difendere presunti segreti di pedofilia della Chiesa americana, a seguito del fatto che la giovane aveva salvato un articolo sul tema - quindi qualcosa di pubblico e reperibile su internet - su un pendrive.

Il consulente della famiglia nonché cugino di Chiara Paolo Reale ha sempre sostenuto l’inconsistenza della ricerca online della vittima con il movente dell’omicidio: anche il fatto che sia stata attestata una visualizzazione del santuario sul computer era

un’esagerazione, perché le immagini della struttura religiosa sono chiaramente tra i primi risultati quando chiunque effettua una ricerca, per esempio a fini turistici o simili, sul territorio di Garlasco sui motori web.

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