I giovani violenti sono senza empatia

Una riflessione alla luce dei recenti episodi di violenza giovanile

I giovani violenti sono senza empatia

Gentile Direttore Feltri,
fino a qualche anno fa parlavamo di «emergenza bullismo» tra i minori, ignoravamo che, tutto sommato, le cose non andavano poi tanto male. Oggi la situazione è di gran lunga peggiorata, considerando che questi adolescenti non si limitano a farsi i dispetti o a fare a botte, ma si ammazzano tra loro e uccidono con una facilità raccapricciante, come se togliere la vita fosse niente. Gli ultimi fatti di cronaca mi impressionano... Il nipote che ammazza la nonna, i due sedicenni che accoltellano per ben 25 volte un coetaneo e poi lo abbandonano nei cespugli di un parco agonizzante. E per cosa poi? Per 250 euro.
Perché accade tutto questo?
Ludovica Giordano

Cara Ludovica,
di recente ho affrontato questo argomento, ossia quello dell'aumento della violenza tra i giovanissimi, in questa medesima rubrica su sollecitazione di un lettore, ma non mi dispiace intervenire ancora una volta sul punto in seguito a questi ultimi fatti cui tu stessa ti riferisci. Si tratta dell'omicidio di Maria Teresa Chavez Flores, 65enne di origine peruviana, infermiera, trovata cadavere nella zona di Careggi, a Firenze, la quale sarebbe stata assassinata dal nipote diciassettenne, che ha confessato il crimine dopo avere tentato invano di convincere gli inquirenti di avere trovato intrusi in casa nonché la nonna già morta nel suo letto. E si tratta poi dell'uccisione di Christopher Thomas Luciani, sedicenne di Rosciano, Pescara, accoltellato a morte in un parco da due coetanei, figli di un avvocato e di un carabiniere, i quali quindi non provenivano da un contesto di degrado culturale ed economico, attenuante che di solito offriamo ai ragazzini che delinquono. I due, che se ne andavano a spasso armati di tutto punto hanno infierito altresì su Christopher mentre questi era in agonia, seviziandolo, riempiendolo di sputi e spegnendogli sigarette addosso. Elementi da non sottovalutare che ci dimostrano la totale assenza di empatia di questi giovanotti, che hanno tolto la vita per un debito di pochi euro che la vittima doveva a uno dei due e che poi si sono recati con gli amici in spiaggia per fare il bagno e divertirsi più che per l'esigenza di procurarsi un alibi, quantunque maldestramente. Il delitto? Per loro non è stato nient'altro che un banale argomento su cui ridere compiendo macabre battute. O forse persino un vanto. Intanto il corpo di Christopher giaceva dietro un cespuglio in un parco di Pescara, dissanguandosi. Al di là dell'evidente incapacità di immedesimarsi nel dolore altrui, di sentire e riconoscere le emozioni, mi colpisce il convincimento di questi adolescenti, criminali in erba eppure già spietatissimi e organizzati, di essere dalla parte del giusto, insomma di avere fatto in qualche modo giustizia macellando con un coltello da sub un ragazzino che avrebbe potuto essere un fratello. Uno dei due ha dichiarato: «Era diventata una questione di rispetto». Rispetto? Che concetto distorto di rispetto, mi viene da pensare. Una concezione che si avvicina parecchio a quella del codice d'onore mafioso. Non sarà che questi fanciulli si sono troppo ubriacati con serie televisive che non hanno fatto altro che esaltare condotte mafiose e personaggi della malavita proponendoli alla stregua di idoli, modelli di riferimento da emulare e ricalcare in toto, arrivando al punto di mettere a segno reati di questo tipo? Peccato che la vita vera però non sia un film: le coltellate ammazzano sul serio e il sangue non è acqua colorata. La finzione ormai ha preso il sopravvento ed è diventata realtà. Esiste soltanto quel mondo virtuale in cui la nostra gioventù campa, dove tutto ciò che conta è esporsi, esibirsi, dimostrare, dare prova di forza bruta. E le emozioni cosa sono in questa virtualità? Nulla. Non ci sono. Per loro non vi è spazio. Così ci si ritrova a vivere in questa dimensione sterile e fredda, in questo videogioco permanente, dove le proprie azioni non hanno conseguenze, è come se a realizzarle fosse un altro da sé. Ecco perché si può massacrare un coetaneo e poi andare a fare un tuffo in mare, mentre una vita si è spenta e altre due saranno macchiate e danneggiate in modo irreversibile.

Dobbiamo recuperare la dimensione umana, quella dell'affettività, dell'emotività. Educare i fanciulli a comprendere ciò che essi provano e pure ciò che provano gli altri, insegnare loro a mettersi nei panni dell'altro, ovvero ad immedesimarsi nell'altrui patimento, è necessario al fine di evitare che un moto di rabbia degeneri in sopraffazione, violenza, abuso, omicidio.

Stupisce che le professioni dei genitori degli autori di questo delitto, ossia quella di avvocato e quella di carabiniere, quindi mestieri che hanno a che fare con la legge e con la legalità, non siano servite affinché questi adolescenti apprendessero e interiorizzassero quantomeno i rudimenti del diritto. Questa mia osservazione non intende costituire un giudizio nei confronti dei genitori, trattasi di una semplice e amara constatazione.

Occorre porsi alcune scomode domande: stiamo trasmettendo ai nostri figli il senso del limite? Abbiamo rinunciato per debolezza o pigrizia al nostro ruolo educativo? Se spiegassimo con maggiore cura ai ragazzi che la vita sia propria sia altrui rappresenta un diritto e anche un valore da tutelare e preservare, certi crimini sarebbero tanto frequenti? E se mostrassimo loro con severità che ogni azione ha un effetto, ragionerebbero di più prima di adottare un qualsiasi comportamento?

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