
In circa un anno parla per la seconda volta in tv senza filtri. Prima in una docuserie Netflix, oggi a Belve Crime, condotto da Francesca Fagnani. Si tratta di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo con sentenza passata in giudicato per l’omicidio di Yara Gambirasio, avvenuto il 26 novembre 2010. E, come sempre, l’ex operaio di Mapello, anche in questo dialogo registrato nel carcere di Bollate in cui è recluso, ha proclamato la sua innocenza.
“Sopravvivo all’ingiustizia - ha esordito Bossetti - Anche se venissi prosciolto, me lo auguro, sono sempre etichettato con questa accusa infamante. Mi sono sempre difeso con la mia sola arma: la verità. Ma non c’è verità per chi non vuole ascoltare”. Il recluso si è detto comprensivo per il dolore di Fulvio Gambirasio e Maura Panarese, i genitori di Yara: “La perdita di un figlio è inquantificabile. Non è fatta la giustizia che si dovrebbero meritare, perché si sarebbero dovute percorrere diverse strade”.
Bossetti intanto ha ripercorso la propria di storia: l’infanzia, la famiglia e perfino quel soprannome con cui veniva chiamato al lavoro, “il favola”. Ha spiegato che veniva chiamato così poiché, non venendo pagato con capillarità, di tanto in tanto avrebbe inventato di essere affetto da “tumori” per mancare al lavoro, sebbene non fosse vero.
Bossetti, alla domanda di Fagnani se fosse stato colto da un processo di rimozione del delitto, nega, anche quando dice di aver tentato il suicidio ma di non ricordarlo: “È capitato che la testa era partita e mi sono ritrovato con una cintura al collo e la testa nel lavandino. Non so come è capitato”. Afferma inoltre di non essersi aspettato la sentenza di condanna. “Perché un quarantenne dovrebbe avventarsi contro una bambina?”, domanda lui stesso. Ma poi si giunge alle ricerche che gli inquirenti avrebbero trovato su internet che potrebbero avere un peso nel giudizio finale: dice di aver fruito comune pornografia consensuale insieme alla moglie, come accade ad altre coppie, ma non ha idea di chi possa avere fatto delle ricerche specifiche su “ragazzine rosse rasate”. Anzi un’idea ce l’ha: gli hanno detto che quelle ricerche appaiono automaticamente quando si clicca inavvertitamente qualcosa.
L’uomo ha esaminato anche il momento del suo arresto, quando all’arrivo delle forze dell’ordine è parso voler fuggire. “Voglio vedere voi, quando vi piombano addosso polizia e carabinieri, vi intimano di abbassare lo sguardo e inginocchiarvi, cosa fareste. Sono stati indegni, disumani, vergognosi”, ha chiosato.
L’intervista della conduttrice Francesca Fagnani è proseguita sul tema del Dna che incastrò Bossetti: il materiale genetico venne trovato sugli indumenti di Yara e si risalì prima a un Ignoto 1 e successivamente quell’ignoto fu identificato con Bossetti. “È tutto assurdo, anomalo e incompreso - ha commentato l’uomo - Il Dna nucleare, cosa evidenzia? Il Dna nucleare che normalmente si dovrebbe disperdere a poche settimane, invece era ancora presente. Il Dna mitocondriale che è risaputo da tutti, che non si può disperdere, non c’è”.
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Fagnani ha fatto notare che è il Dna nucleare a permettere un’identificazione, per la scienza e per la legge, al di là di ogni ragionevole dubbio. E ha domandato a Bossetti come mai il suo materiale biologico fosse presente appunto sugli slip e sui leggings della vittima. “È quello che vorrei capire anche io", è stata la risposta di Bossetti.
Il quale proprio non ci sta.
Crede di essere vittima di un complotto, si mostra dubbioso di fronte ai risultati dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, si lancia in giudizi su Fulvio Gambirasio, colpevole, a suo dire, di essere andato al lavoro dopo che la figlia era scomparsa. E mentre Fagnani ripercorre la lunga ricerca del Dna Bossetti è lapidario: “Ignoto 1 non può essere Massimo Bossetti”.