Il fratello di Saman: "Ecco perché l'ho denunciata ai miei parenti"

L'audizione del fratello di Saman Abbas davanti alla Corte d'Assise di Reggio Emilia: "Prima ero come la mia famiglia, ora non più". E poi sulla fuga con lo zio Danish: "Mi disse che dovevamo scappare"

Il fratello di Saman: "Ecco perché l'ho denunciata ai miei parenti"
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"Io ora mi sento italiano, prima ragionavo in un altro modo perché ero cresciuto nella cultura della mia famiglia". Lo dice Ali Heider, il fratello di Saman Abbas, davanti alla Corte d'Assise di Reggio Emilia in occasione della nuova udienza al processo per l'omicidio della 18enne pachistana uccisa a Novellara nella notte tra il 30 aprile e il 1°maggio 2021 per essersi opposta al matrimonio combinato. "Da piccolo ero cresciuto in questa cultura e avevo lo stesso modo di pensare dei miei genitori", afferma il ragazzo rispondendo alle domande dell'avvocato Liborio Cataliotti, legale di Danish Hasnain. Poi muove delle accuse nei confronti di altri due parenti: "Anche loro hanno colpe".

"Mi vietavano di fare amicizia con le ragazze"

All'epoca dei fatti minorenne, il ragazzo spiega il motivo per cui mostrò ai genitori la foto del bacio tra Saman e il fidanzato Saqib. "Vedevo le foto di mia sorella su internet e mi arrabbiavo. - spiega Ali Heider - Perché la mia cultura è la stessa dei miei genitori. Sono cresciuto in quella cultura, da piccolo mi hanno insegnato che nemmeno potevo fare amicizia con le ragazze perché era vietato, per questo mandai ai miei parenti la foto del bacio tra Saman e Saqib, perché per me in quel momento era una cosa sbagliata. Per come sono ora, da quando sono in comunità, è tutto cambiato. Oggi mi sento italiano. Per me hanno fatto una cosa sbagliatissima".

"In casa riunioni per fare male a Saman"

Nell'udienza di martedì mattina, il giovane aveva lasciato intendere che l'omicidio di Saman sarebbe stato progettato a tavolino dai familiari nel corso di alcune riunioni: "Venivano parenti a casa che davano consigli brutti" erano state le sue parole. Circostanza che ribadisce anche quest'oggi: "In casa venivano fatte riunioni per far del male a Saman, non solo quando scappò in Belgio, ma anche quando era in comunità". Il 18enne parla anche di Irfan, un altro cugino la cui posizione è stata poi archiviata, dicendo che "guardava sempre male Saman e con l'altro fratello di mio padre dava consigli brutti ai miei genitori, invitandoli a fare del male a mia sorella. Ha detto che lui l'avrebbe uccisa".

"Mio padre ci disse che non dovevamo muoverci"

Il ragazzo racconta poi di una telefonata tra il padre e lo zio Danish a pochi giorni dall'omicidio di Saman, quando furono sequestrati i telefoni agli imputati (all'epoca non erano ancora indagati ndr). "Mio zio disse: 'adesso noi scappiamo, perché ci hanno preso i telefoni, si sono accorti. Ma papà - aggiunge il ragazzo - disse 'dovete stare lì, perché altrimenti penseranno che è davvero successo qualcosa. Ma mio zio rispose: "Non possiamo stare qui, tu sei scappato in Pakistan, non hai problemi. Se prendono qualcuno, prendono noi". A quel punto il fratello di Saman partì insieme allo zio: in bicicletta verso Gonzaga, poi in treno per Modena, quindi Como, dove passarono la notte a casa di un conoscente. Quindi in viaggio per Imperia poi si ritrovarono anche con i due cugini imputati dove furono controllati e il ragazzo fu portato in Questura e poi trasferito in una comunità.

"Altri due parenti hanno colpe"

Incalzato dalle domande dell'avvocato Liborio Cataliotti, Ali Heider assicura di aver detto "tutta la verità" sull'omicidio. Nella precedente udienza, 18enne aveva affermato di aver visto lo zio Danish "prendere Saman per il collo". Dichiarazioni che conferma anche oggi: "Ero sull'uscio della porta di casa e la luce che illuminava la scena era quella della casa gialla in fondo. - dice - Ho visto bene mio zio e i miei cugini. Sono sicuro". Il ragazzo non esita a puntare il dito con altri due parenti, che attualmente non sono imputati nel processo, sostenendo che "sono più colpevoli di Noman e Ikram, che hanno fatto questa cosa per rispetto, hanno aiutato lo zio".

"Voglio giustizia per mia sorella"

"Ho deciso di raccontare la verità perché soffro ogni giorno, sto male e la notte non dorme", dice ancora il 18enne. E poi: "Guardo le foto di Saman che ho appese in camera e sbatto la testa sul muro. E' una cosa che mi porterò dentro tutta la via e penso che se c'è una cosa che mi può aiutare è sfogarmi e dire la verità. E voglio dirla anche perché voglio che sia fatta giustizia per mia sorella".

"Ho provato a uccidermi"

Il fratello di Saman racconta di aver tentato il suicidio: "Ho provato a farmi del male, in comunità ho bevuto del profumo, volevo uccidermi. Ero rimasto da solo", dice rispondendo alle domande dell'avvocato Teresa Manente, dell'associazione "Differenza donna", parte civile nel processo. "Avevo paura di mio padre - aggiunge - ha provato anche a fare del male a Saman. Quando è tornata dal Belgio, lui l'ha aggredita con un coltello. Aveva bevuto. Mi sono messo in mezzo, ho preso il coltello per buttarlo via e nel farlo mi sono ferito tra il pollice e l'indice".

"Papà diceva a mamma di piangere per finta"

Al pm Laura Galli il 18enne racconta della fuga di Saman in Belgio e di quando il padre avrebbe suggerito alla moglie, attualmente latitante, di mettere "la saliva sugli occhi" in modo da simulare le lacrime "per convincere mia sorella a tornare a casa". "Quando è tornata, mio padre è andato a prenderla, l'ha portata a casa - aggiunge - Ero molto felice.

Poi le hanno chiesto del tatuaggio, dicendole che non andava bene, che andava cancellato". Quanto al fidanzato della ragazza "dicevano che lo avrebbero ammazzato non appena sarebbe tornata in Italia".

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