Cronaca nera

"Non ci sono prove". Il legale del padre di Saman ancora all'attacco

Il legale del padre di Saman Abbas continua a lanciare strali contro l'Italia: forse non ci sarà estradizione. Gli imputati dovranno rispondere di diverse prove a loro carico

Screen "Quarto grado"
Screen "Quarto grado"
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Il padre di Saman Abbas contro il fidanzato della figlia e contro lo Stato italiano. Continuano le accuse dal Pakistan, dove Shabbar Abbas è stato protagonista dell’ennesimo rinvio in tribunale. E intanto il suo legale rende nota una teoria che per la legge italiana potrebbe anche essere oggetto di diffamazione. È possibile che l’estradizione non ci sarà? Le speranze, a giudicare da queste dichiarazioni, si assottigliano sempre di più.

Il lavoro del tribunale

Il tribunale di Reggio Emilia ha chiesto al fratello della 18enne di riportare la propria testimonianza. È questa infatti la prova principale a carico dei 5 rinviati a giudizio: il padre Shabbar, la madre Nazia Shaheen attualmente latitante, lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Noumanoulaq Noumanoulaq. Questi ultimi tre sono apparsi in aula in questi giorni.

Tuttavia il fratellino di Saman, ospite in una comunità protetta da quando era stato fermato dalle autorità italiane nel tentativo di lasciare il Belpaese con Ikram, pare non voglia testimoniare. Il suo legale ha fatto sapere che da un lato non vuole riaprire una vicenda per lui dolorosa, dall’altra ha paura di fare la stessa fine della sorella. Intanto, tra i testimoni al processo, è giunta in Italia la moglie di Danish.

Sama Abbas è scomparsa a Novellara la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021. Il suo corpo è stato ritrovato in una buca a 700 metri dalla sua casa a novembre 2022 su indicazione di Danish.

La versione di Shabbar

L’opinione pubblica italiana è sdegnata di fronte alle accuse mosse dall’avvocato di Shabbar, Akhtar Mahmood. A Quarto Grado il legale ha detto: “Per noi la ragazza è stata rapita e uccisa. I genitori non c’entrano nulla e neanche la famiglia. È stato incolpato Danish, ad esempio, ma al momento né noi né voi possiamo dire cosa sia successo realmente. Per noi i colpevoli sono o il fidanzato di Saman o qualcuno della comunità italiana. Saman aveva detto ai genitori: ‘Andate in Pakistan. Io vi raggiungerò là’. È stata rapita da qualcuno”.

Poi le accuse verso lo Stato italiano, colpevole a suo dire di aver garantito un diritto: “Lo Stato italiano ha forzato Saman a finire la scuola. È stata portata in questa comunità italiana dove non si sapeva che tipo di persone ci fossero. Non ci sono prove per incolpare la famiglia. Si punta il dito contro la famiglia senza avere prove”.

Tra le accuse di Mahmood figura la possibilità che in comunità abbiano sottratto i documenti a Saman. In realtà i documenti sono stati ritrovati dagli inquirenti nella casa di Novellara in cui gli Abbas vivevano e lavoravano. Saman aveva anche detto al fidanzato Saqib Ayub che sarebbe tornata a casa per riprendere appunto il passaporto.

Mahmood si è pronunciato anche sui messaggi vocali che Saman avrebbe inviato a Saqib, che a causa del suo amore sarebbe stato minacciato dagli Abbas. “Queste non sono prove vere - ha commentato - Il fidanzato ha detto che Saman non aveva il telefono. Forse lui stesso ha voluto far uccidere la fidanzata. Per noi bisognerebbe indagare anche su di lui. Non aveva il telefono: mi spiegate come sono stati inviati quei vocali?”. Tuttavia le telecamere di videosorveglianza mostrano come in alcuni momenti Saman utilizzasse degli smartphone in possesso di altri membri della famiglia: basterebbero i tabulati telefonici a smentire l’avvocato.

In uno di questi vocali, Saman racconta a Saqib di aver sentito un famigliare dire alla madre: “Se è tornata a casa, terminate il lavoro lì, così evitare che scappi di nuovo da casa”. In altre parole, secondo Saman, stavano organizzando il suo omicidio. Il legale di Saqib Claudio Falleti ha bollato quelle di Mahmood come “dichiarazioni incommentabili”.

Le prove a carico degli imputati

Come detto, la prova maggiore contro gli imputati è nella testimonianza del fratello della 18enne uccisa. Ma ce ne sono altre e diverse. C’è un corpo, che sta venendo analizzato da esperti forensi, e che “parlerà”. C’è una traccia di saliva compatibile con il Dna di Saman trovata su un giubbotto di Danish. Ci sono i messaggi vocali di Saman a Saqib in cui la giovane parlava di timori in relazione a un delitto d’onore.

Ci sono diversi filmati delle telecamere di videosorveglianza. I più importanti: in uno lo zio e i cugini si sarebbero avviati in direzione del casolare abbandonato dove il corpo è stato trovato, il giorno prima della scomparsa, e con in mano una vanga e un sacchetto azzurro, in un altro ci sono le ultime immagini di Saman, con il padre che rientra in casa con gli effetti personali della figlia in uno zainetto chiaro.

E poi c’è quell’intercettazione in cui, secondo le traduzioni (che tuttavia collimano), Shabbar avrebbe affermato: “L’ho uccisa, l’ho fatto per il mio onore”.

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