"Vi spiego cosa spinge un 16enne ad accoltellare il proprio padre"

Come precisato dall'avvocato Gian Ettore Gussani su il Giornale.it, adesso per il giovane potrebbero aprirsi diversi scenari ma la prudenza nella ricostruzione delle dinamiche è fondamentale: "A prescindere da tutto credo che i minorenni siano delle vittime"

"Vi spiego cosa spinge un 16enne ad accoltellare il proprio padre"
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Dopo aver assistito all’ennesimo litigio tra i suoi genitori, ha accoltellato il padre, un romeno di 37 anni, per difendere la madre ed è finito in carcere. È questa la storia di un 16enne incensurato di Ardea, Comune alle porte di Roma, che adesso è accusato di tentato omicidio. Nel corso della furibonda lite, il giovane ha cercato di difendere la madre, che subiva violenze marito. In uno dei tentativi di difesa il ragazzo è stato scaraventato dal padre verso una porta di vetro, finita ridotta in frantumi. È stato qui che il 16enne ha impugnato il coltello, sferrando due pugnalate al genitore e ferendolo al fianco. L’uomo, una volta soccorso, ha subìto l’asportazione della milza ed è in prognosi riservata. La moglie ha raccontato agli inquirenti della difficile situazione familiare e il mancato coraggio di denunciare tutte le violenze fino a quel momento. Adesso per il 16enne si aprono momenti difficili. Abbiamo fatto il punto ella situazione con l’avvocato Gian Ettore Gassani

Cosa rischia il 16enne adesso?

“Per il ragazzo si aprono diversi scenari. Se il padre dovesse decedere, il giovane potrebbe rischiare 15 anni di carcere o anche 20. Però è da tenere in conto che, per fatti gravi, la Giustizia minorile ha concesso in alcuni casi la cosiddetta “messa alla prova”. Si tratta di un istituto che vale solo per i minorenni: se lo Stato si rende conto che ci sono situazioni di particolare complessità, può anche concedere una sorta di sospensione della pena, appunto una messa alla prova. Se la posizione dovesse invece rimanere ferma al tentato omicidio e si accertasse che non c’è stata legittima difesa, scatterebbe la pena che prevede gli 8 o 9 anni di carcere. In caso di legittima difesa, che in questo caso si configura con un intervento diretto a difendere se stessi o la madre da un male ingiusto, non c’è punizione. La legittima difesa scrimina il reato. Adesso bisogna capire meglio cos’è successo per delineare un quadro specifico, bisogna essere prudenti nella ricostruzione delle dinamiche”.

Il fatto accaduto a Roma non è il primo: molti ragazzi a causa di una lite familiare sono diventati “criminali per caso”. Cosa si scatena nella loro mente per agire in questo modo?

“Per il caso di specie adesso sarà lo psichiatra a poter delineare un quadro della personalità del giovane. Parlando in generale per altri casi simili, oggi c’è una generazione di giovani complessa. Non è che tutti i ragazzi che reagiscono in questo modo sono delinquenti. Dipende da tanti fattori. In alcuni ragazzi c’è un disagio dovuto alla droga, alla noia, alla mancanza di ideali e alla presenza di tensioni morali. Come d’altro canto ci sono ragazzi che invece cercano di rimboccarsi le maniche e darsi forza. Una società complessa non poteva non avere una gioventù complessa”.

C’è la consapevolezza di quello che si commette in questi casi?

“Questo lo può stabilire il criminologo caso per caso. Nell’ambito della legittima difesa, posso dire che si tratta non solo di una norma del codice penale, ma anche di un istinto umano. Per cui se una persona vede che un proprio congiunto sta per essere aggredito, è normale che, al di là di quello che dice il codice penale, mette in atto un’azione per difenderlo”.

Come si elabora e come si vive la presa di coscienza dell’atto compiuto, semmai fosse stata persa?

“A prescindere da tutto, credo che i minorenni siano delle vittime: vittime di loro stessi, di un’infanzia negata o di violenze in famiglia. C’è una vasta letteratura sulle crisi dei minorenni. È difficile dare solo una chiave di lettura. Certamente dopo un fatto del genere, al di là di quella che può essere la responsabilità o meno, il trauma è forte. Per i ragazzi, vivere una situazione di questo tipo è una tragedia: si aprono le porte della cronaca giudiziaria, di un processo, si entra nella consapevolezza di una situazione difficile e più grande delle proprie capacità. Il minorenne vorrebbe avere una vita spensierata e normale da trascorrere con gli amici e quando si entra nei tribunali, il dramma diventa una cicatrice indelebile per tutta la vita, a prescindere dalla responsabilità o meno”.

Per il 16enne e per chi ha vissuto un’esperienza come questa, ricevere il supporto della famiglia, già gravata da una situazione delicata, diventa difficile. Che tipo di supporto va dato in questi casi?

“La Giustizia è attrezzata per il recupero di questi ragazzi che non vengono lasciati soli.

C’è un monitoraggio dei servizi sociali, lo Stato ha gli strumenti per aiutare i giovani che si trovano in queste situazioni, tanto è vero che, nel processo minorile, ci sono tutte le intenzioni di recuperare questi ragazzi e non di condannarli solamente. E poi il supporto della famiglia difficilmente viene a mancare in questi casi”.

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