Alatri, la cittadina divenuta simbolo delle periferie d'Italia

Alatri, al centro della cronaca nazionale per la tragedia di Emanuele Morganti, è diventata il simbolo del degrado periferico italiano. Voci dalla cittadina ciclopica che cerca il riscatto

Alatri, la cittadina divenuta simbolo delle periferie d'Italia

Alatri è diventato il simbolo italiano della periferia urbana ed abbandonata, almeno mediaticamente. Un luogo abituato ad essere la capitale provinciale della cultura, finito sotto le luci dei riflettori per fatti che solitamente non l'avrebbero riguardata. Di questi tempi si parla spesso delle banlieue francesi, del fenomeno macroscopico delle periferie abbandonate per via della globalizzazione, della cattiva gestione di essa e della creazione di bacini elettorali costruiti artificiosamente sulla pelle dei quartieri residenziali, degli emarginati sociali e del loro ruolo nella proliferazione del "populismo". Analisi che sembrerebbero lontane per latitudine dalla cittadina ciociara, ma che invece, almeno in parte, la avvolgono. Sì, perchè dalla tragedia di Emanuele Morganti, nella cittadina ciclopica non si fa che riflettere su sè stessi, sul presunto stato d'abbandono, sul rapporto delle istituzioni con la cittadinanza e sulle responsabilità diffuse che molti, ognuno nella propria coscienza, sentono di avere indirettamente per quanto accaduto. Tra i ragazzi, in primis, protagonisti, loro malgrado, della vicenda mediatica che ha interessato un omicidio compiuto in luoghi e strade che solitamente frequentano per svago.

Ragazzi come Paola Ceci, ad esempio, che pone l'accento sullo stile di vita della sua generazione, evidenziando il problema della droga: " Posso testimoniare tranquillamente che alcuni ragazzi di qui abbiano uno stile di vita discutibile. Spesso, con la scusante di non trovare un lavoro dignitoso, ma senza ammettere che hanno deciso di lasciare la scuola ancora prima della maturità, vivono "alla giornata". Senza interessi, senza una cultura di base, senza obiettivi e progetti futuri, pieni di falsi miti e di idoli sbagliati". E ancora: "Per concludere, non posso non dire, che questi personaggi spesso più che emarginati, vengono venerati dai coetanei". Superficialità e droga, dunque, segni distintivi di Alatri o dei tempi? Questa è la domanda che la cittadinanza fa in questi giorni alle decine di telecamere che hanno invaso il centro storico dopo la morte di Emanuele Morganti.

Alatri, finita sotto i riflettori per un caso di cronaca nazionale, tenta insomma di difendere il buono che c'è, specie per mezzo di una storia millenaria di cui nessun rotocalco parla, ma i problemi strutturali ci sono ed emergono tutti. Basta parlare con gli studenti che se ne sono andati a Roma per l'università, quelli che tornano nel fine settimana. È il caso di un ventisettenne che preferisce rimanere anonimo: " Si è aspettato troppo per applicare il pugno di ferro, questa è stata solo la tragica conseguenza del lassissmo di certe istituzioni, non tanto quelle politiche. Fare nomi non è facile ad Alatri: si viene a sapere subito chi è stato e questo non costituisce un fatto neutro neppure per i familiari. Sono sempre le stesse persone, un gruppo piccolo che spaventa tutti, sta alle forze dell'ordine intervenire, chi si butta dentro quelle risse è un eroe e non tutti lo sono". I nomi, in realtà, relativamente a questa vicenda, sono stati fatti sin dalle prime ore successive il fatto in ogni vicolo, ma la questione "sicurezza" resta. Basta parlare con Giuseppe Pizzuti, ragazzo di Tecchiena, la popolosa zona da cui proveniva Emanuele Morganti, per capire che il problema è diffuso e non riguarda solo il centro storico: "Nella piazza principale di Tecchiena, l'amministrazione non si degna neppure di mandare gli addetti per la cura del verde pubblico. Sempre nelle zone limitrofe ci sono parchi pubblici completamente dissestati, che presentano situazioni alquanto pericolose: chiodi e materiale contundente". La polemica, dunque, che non può in alcun modo nascondere o derubricare l'evento tragico della notte tra il 24 e il 25 di marzo, entra sulla scena principale di una città che cerca di distribuire le colpe ed analizzare sè stessa.

Anche nel mondo dei professionisti, poi, la disamina è impietosa: " Alatri sconta l'impoverimento culturale che ha vissuto negli ultimi anni. Non c'è programmazione, non c'è nulla legato alle scuole, niente che i ragazzi possano fare oltre lo stare nei bar durante il fine settimana. Un serio esame di coscienza dovrebbe farlo l'amministrazione comunale. Con poche risorse si potrebbero fare cose molto semplici, ma decisive", ci ha detto il Dottor Giulio Rossi, che ha aggiunto: " Non siamo una città culturalmente morta, dobbiamo solo avere il coraggio di investire sui giovani". L'avvocato Remo Costantini, invece, pone l'accento sul fatto che alla microcriminalità non si possa rispondere con leggi inadatte e aggiunge: " I segnali c'erano stati nel corso dell'ultimo anno. Citerei l'episodio in cui venne dato fuoco a delle balle di fieno in piazza S.Maria Maggiore. I cittadini arrivarono persino a chiedere all'amministrazione di chiudere i vicoli del centro per mezzo di cancelli. Non è colpa del Sindaco se è successo quel che è successo, sia chiaro. C'è, tuttavia, una mancanza di sensibilità sul tema sicurezza che invece andrebbe analizzato nel dettaglio. Questa è una città meravigliosa e va rioccupata fisicamente nei suoi spazi centrali". E ancora: " Nel Lazio subiamo il ruolo di Roma, centro d'attrazione della maggior parte dei finanziamenti. Dove c'è un simile divario di attenzione tra grandi città e realtà numericamente più piccole, la conseguenza triste e naturale è l'attecchimento della microcriminalità, ma questa cittadina non è quella omertosa raccontata dai grandi media in questi giorni". Biagio Cacciola, poi, già professore di filosofia al liceo Conti Gentili di Alatri, aggiunge: "Il problema sta nel ripopolamento del centro storico. Una zona completamente svuotata dai cittadini finisce per forza nelle mani dei bulli che puntano al predominio e all'affermazione territoriale. Il focus centrale è questo".

Alatri, in fin dei conti, è ad un bivio: affermarsi come periferia urbana, eretta a simbolo nazionale di degrado, abbandono e connivenza con la criminalità più o meno micro, oppure riscattarsi tramite la sua storia culturale, per mezzo delle sue forze migliori, giovani e non. Diventare banlieue d'Italia tramite un continuo e progressivo abbandono della sua popolazione oppure ripartire da capo. Qui nessuno vuole farsi dare dell'omertoso, ma non tutti sembrano voler capire che per levarsi quest'etichetta di dosso bisogna armarsi del coraggio di dire che un problema strutturale c'è. La sensazione, tuttavia, è che Alatri abbia avuto sfortuna, molto sfortuna, che quell'evento disarmante sarebbe potuto accadere in qualunque altra cittadina d'Italia, ma proprio perchè finita al centro delle cronache nazionali, ora Alatri ha la responsabilità di dare l'esempio. Le aggressioni, basta parlare con chiunque viva nella cittadina ciclopica, ci sono sempre state, spesso senza alcun movente, ma forse c'è ancora spazio per uno scatto di reni. Altrimenti Alatri diverrà davvero simbolica dell'ignoranza e del degrado periferico italiano e definitivamente terra di conquista della criminalità organizzata.

Un cambio di rotta lo si deve ad Emanuele, sempre nel caso non fosse troppo tardi. Alatri,periferia abbandonata d'Italia, una delle tante, ma non solo per sfortuna finita sotto le lenti dei giornalisti di tutta la stampa nazionale, specie quelle televisive. Ci vogliono equilibirio e correttezza, qualità che spesso alcuni organi mediatici non usano, ma ci vuole anche il coraggio di raccontare una storia dal punto di partenza.

Il giornalismo, se non altro, serve a questo: a far emergere le storie sommerse. In questo caso, quella di un centro di trentamila abitanti, piena di risorse importanti, ma che nell'intestino ha degli enormi ed evidenti problemi. Come l'Italia, del resto.

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