Alleati coi giustizialisti ma assediati dai pm

Alleati coi giustizialisti ma assediati dai pm

L'atmosfera è quella dell'assedio, di chi, raggiunto l'apice, guarda con diffidenza tutto ciò che lo insidia. Non è la prima volta che capita in Italia. Oggi succede alla Lega di governo e regina dei sondaggi. Nel Transatlantico di Montecitorio, Guido Guidesi, sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio, si inalbera per quella sentenza della Cassazione che autorizza il sequestro di 49 milioni di euro del Carroccio: «Una cosa allucinante. Così ci hanno bloccato l'attività politica. Non sappiamo neppure come pagare i pullman che hanno portato i militanti a Pontida: se diamo i soldi alla Lega li sequestrano; se li diamo direttamente alle agenzie di viaggio rischiamo il reato di finanziamento ai partiti. La verità è che in questo Paese se superi il 30% di consensi ti mandano dei segnali, ti fanno capire chi comanda. Il problema è che i nostri alleati di governo, i grillini, non capiscono che pure una parte della magistratura fa politica, eppure anche loro hanno ricevuto un segnale 15 giorni fa...». (L'arresto dell'avvocato Lanzalone, gran suggeritore del sindaco Raggi a Roma, ndr).

Poco più in là, Alessandro Morelli, già direttore della Padania e ora deputato leghista, almeno sui pentastellati si consola: «Guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Immaginatevi se li avessimo avuti all'opposizione che casino avrebbero inscenato sull'argomento!». Ma è un lieve conforto rispetto al lungo cahiers de doléances. «Per finanziare le nostre attività di comunicazione racconta Morelli ci eravamo inventati la onlus Più voci, dove arrivavano i finanziamenti degli imprenditori che volevano appoggiarci. Ma con la storia di Parnasi è saltata anche quella. Ma allora ci spieghino come possiamo finanziare la nostra attività politica?!». E se Gianmarco Centinaio, ministro dell'Agricoltura, intravvede in questa sanzione iniqua la conferma che la Lega ad un certo mondo fa paura («Diamo fastidio»), il sottosegretario all'Interno, Stefano Candiani non ha dubbi: «Certo che è una sentenza politica. E sicuramente l'unica conseguenza è politica: vogliono impedirci di fare la campagna elettorale per le Europee, vogliono imbrigliarci. L'unica strada che abbiamo è fare un contenitore alternativo, dove metterci tutto».

Appunto, per salvarsi la Lega deve fare un'altra Lega. E già solo questo dimostra quanto il gruppo dirigente leghista si senta «stretto», quanto sia consapevole che la vicenda non si fermi qui, che dopo la marcia trionfale di Salvini, che ha segnato la politica italiana dal 4 marzo ad oggi, sia cominciata la controffensiva degli avversari politici e degli altri Poteri. Il Pd ha presentato interpellanze alla Camera e al Senato e il vice presidente della commissione Giustizia della Camera, il piddino genovese Franco Vazio, fa capire che la magistratura non farà sconti: «Bisogna vedere se i soldi i dirigenti leghisti li hanno portati in Lussemburgo, a quel punto scatta un reato ben più grave: l'autoriciclaggio». E anche l'alleato-competitor grillino, tramortito da settimane di protagonismo salviniano, non si sa perché e per come, ma ha ripreso coraggio dopo la sentenza della Cassazione. Se Salvini chiede di modificare in Parlamento il «decreto Dignità», il vicepremier grillino Di Maio, animato da un insolito spirito da cuor di Leone, ribatte che sui punti che riguardano i precari non se ne parla. Ed ancora: se il leader del Carroccio vuole cacciare in anticipo Boeri dalla presidenza dell'Inps per metterci il fido Alberto Brambilla, il leader dei pentastellati fa capire che per ora Boeri non si tocca.

La politica in Italia è fatta di alti e bassi. E Salvini ne ha memoria. Ecco perché il segnale della Cassazione lo ha preso seriamente. Ieri per la prima volta dopo aver fatto di tutto in queste settimane, dopo esser stato al Palio di Siena ed essersi tuffato anche in una piscina di una villa sequestrata ai mafiosi, il ministro dell'Interno ha evitato ogni presenza ed ogni esternazione. «Oggi ha avvertito mestamente la portavoce Iva Garibaldi in chat non ci sono appuntamenti pubblici del ministro Salvini».

C'è qualcosa da ripensare. E ieri il leader della Lega, dopo aver ripetuto ai quattro venti che si tratta di una «sentenza politica» ha preso in esame anche iniziative eclatanti, come quella di chiedere un intervento del capo dello Stato per quello che considera «un vero attacco alla democrazia». Dentro il vertice leghista c'è addirittura chi ha immaginato una ripicca verso il Pd: assegnargli la presidenza della commissione di Vigilanza Rai, invece di quella ben più sensibile su questi temi, del Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza. «Se ne parla da ieri - confida l'azzurro Osvaldo Napoli - e credo che sia una risposta della Lega all'atteggiamento del Pd sulla sentenza della Cassazione».

Ma gli ultimi due giorni hanno fatto venir in luce anche il limite della linea politica, hanno dimostrato che la strana maggioranza gialloverde è quantomai fragile e piena di contraddizioni. Il Salvini sotto assedio, infatti, si è accorto che dentro il suo fortino ha un alleato che su certe tematiche non può seguirlo. Anzi, è agli antipodi. Il «decreto Dignità», ad esempio, gira che ti rigira, colpisce il retroterra elettorale leghista dei piccoli e medi imprenditori del Nord. Ma in queste condizioni al leader del Carroccio non resta che fare buon viso e cattivo gioco. «Se vuoi che non ti rompano le scatole sui tuoi provvedimenti è il ragionamento prudente del leghista Claudio Borghi devi lasciar fare qualcosa anche a loro. Tanto lo cambiamo in Parlamento...». Un proposito che rischia, però, di infrangersi con i numeri delle aule di Camera e Senato, dove la sinistra e il Pd daranno una mano ai grillini, non fosse altro che per mettere in crisi il governo.

Nel duello con la magistratura, poi, non è neppure immaginabile che i grillini, antropologicamente giustizialisti, possano dare una mano agli alleati. Non sono garantisti come Berlusconi e Forza Italia, né sono fedeli alle alleanze come la Meloni. Semmai, se la vicenda andasse per le lunghe, potrebbero fare il contrario. E Salvini che ormai ha cominciato a sondarne gli umori, ne è consapevole. Tant'è che qualche giorno fa con una senatrice del suo gruppo si è lasciato andare ad uno sfogo: «Certe volte i grillini non li sopporto proprio». Un'insofferenza, che, probabilmente, dopo ieri si sarà moltiplicata: nella testa del leader del Carroccio, infatti, l'uscita di sicurezza da una maggioranza che nel tempo potrebbe rivelarsi sbagliata, erano le elezioni anticipate. Una porta che con la sentenza della Cassazione, oggi potrebbe rivelarsi sbarrata: se per la Lega senza soldi sarà già una missione impossibile affrontare le elezioni Europee, il raddoppio con le Politiche diventerebbe a questo punto un azzardo che richiederebbe un miracolo.

La sensazione che, più trascorrono le ore e più si trasforma in certezza nella testa di Salvini, è che la sentenza della Cassazione alla fine sia solo uno strumento per imbrigliarlo. Il Potere in Italia è pieno di sfaccettature. E spesso il passato ritorna, perché è con quello che spesso ti azzoppano.

Due giorni fa in Senato, mentre il piddino Parini recitava il suo j'accuse sui soldi della Lega, si è visto Umberto Bossi attraversare lentamente l'emiciclo, salire i gradini che lo separavano dall'oratore e, di fronte ad un Matteo Renzi che si copriva gli occhi, consapevole di come sarebbe finita, esclamare con la verve di un tempo: «Stronzo!».

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