Armani e Dior. Storie uguali, finale diverso

Come spesso capita in queste situazioni, i due brand per non trascinare oltre una vicenda che rischia di provocare ulteriori danni di immagine, decidono di offrire dei rimedi

Armani e Dior. Storie uguali, finale diverso
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Storie italiane, ovvero l'Italia che fa male all'Italia, pur senza ragione. Il fatto. Nell'aprile 2024 due grandi brand del lusso mondiale, uno italiano, Armani, e uno francese, Dior, vengono sottoposti ad amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano per omessi controlli sullo sfruttamento dei lavoratori da parte di subfornitori infedeli lungo la propria filiera. Dopo nemmeno dieci mesi (sui 12 prescritti) la procedura viene conclusa con il parere positivo dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, perché Giorgio Armani Operations "ha seguito un percorso virtuoso" e riscoperto la "cultura della legalità estesa a tutta la catena produttiva", dichiara il presidente del tribunale di Milano, Fabio Roia, in una nota. Insomma, per Armani parole di apprezzamento per i sistemi di controllo già presenti in azienda e ulteriormente implementati nel periodo dell'amministrazione giudiziaria. Analoga chiusura della procedura straordinaria viene decretata anche per Dior. Due vicende identiche, due conclusioni identiche.

A seguito della notizia del commissariamento, su esposto del Codacons l'Autorità Garante della Concorrenza guidata dal presidente Roberto Rustichelli apre un'istruttoria per pubblicità ingannevole su entrambi i brand in riferimento alla comunicazione sull'alta qualità dei prodotti proposti alla propria clientela. Il sospetto, in entrambi i casi, è che le due società potrebbero avere presentato dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere. Inoltre, sempre secondo l'ipotesi di indagine, le due società potrebbero aver enfatizzato l'artigianalità e l'eccellenza delle lavorazioni effettuate presso laboratori e opifici che impiegano lavoratori costretti a subire salari inadeguati. Secondo prassi, L'Agcom apre due fascicoli distinti ma dai contenuti fotocopia.

Come spesso capita in queste situazioni, i due brand per non trascinare oltre una vicenda che rischia di provocare ulteriori danni di immagine, decidono di offrire dei rimedi (una sorta di patteggiamento) per chiudere rapidamente la vicenda e voltare pagina. Rimedi che prevedono una serie di iniziative in campo sociale con relativi impegni economici.

Dopo poco tempo l'authority accetta il patteggiamento dei francesi di Dior ma, curiosamente, respinge le proposte di Armani. Va ribadito che si tratta di due casi identici (lo possiamo ben dire per avere consultato le carte) ma dal finale diverso. Come è possibile questo opposto trattamento, quando persino il Tribunale di Milano ha parlato di percorso virtuoso proprio riferendosi ad Armani?

Ora, se nell'indagine dell'Agcom fossero emerse nuove irregolarità, massima durezza nei confronti della società che, quale brand mondiale del Made in Italy, ha delle responsabilità maggiori verso dipendenti e consumatori quale modello globale che si erge a star del mercato. Ma poiché abbiamo contezza che nulla di nuovo è emerso, è ancora meno spiegabile il diverso trattamento rispetto a Dior che, sia detto per inciso, batte bandiera francese e, dunque, a parità di violazioni dovrebbero quantomeno subire pari trattamento.

La sola spiegazione è che le due pratiche siano state istruite da funzionari diversi dell'Agcom, e che perciò la documentazione su Armani presentata al presidente Rustichelli sia stata confezionata in modo quantomeno maldestro.

Così, mentre la francese Dior è uscita indenne dal procedimento di verifica, per ottenere lo stesso risultato il gruppo Armani si è trovato costretto a presentare una richiesta di ulteriore approfondimento con relative memorie.

Entro metà luglio l'Agcom dovrebbe far conoscere il responso finale, e dunque onde evitare di alimentare sospetti su trattamenti preferenziali, l'auspicio è che storie identiche abbiano finale identico.

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