Guerra in Ucraina

La via (armata) alla pace

Armi e appoggio segreto della Nato, grazie a intelligence, satelliti e droni, sono serviti a dimostrare, con l'avanzata lampo degli ultimi giorni, che le forze ucraine non sono solo in grado di resistere

La via (armata) alla pace

Armi e appoggio segreto della Nato, grazie a intelligence, satelliti e droni, sono serviti a dimostrare, con l'avanzata lampo degli ultimi giorni, che le forze ucraine non sono solo in grado di resistere, ma pure di mettere a segno una vittoria significativa. Anche le sanzioni, nonostante l'indubbio effetto boomerang su chi le applica, non devono essere così inutili con Mosca, viste le reazioni inferocite ad ogni nuovo pacchetto di misure.

Però è inutile e pericoloso illudersi: nonostante il successo tattico di Kiev, i russi non sono, almeno per ora, in rotta come a Caporetto e la guerra sarà ancora lunga. Gli ucraini sono galvanizzati dalle vittorie sul campo e il Cremlino avrebbe silurato l'ennesimo generale, Roman Berdnikov, accusato della disfatta.

Difficile, ma non impossibile, provare a cogliere l'attimo per tornare a parlare di negoziato, sepolto da tempo dai combattimenti. Magari quando le operazioni militari verranno rallentate prima dalle piogge e poi dal «generale inverno». A parole sia Volodymyr Zelensky sia Vladimir Putin chiudono la porta a qualsiasi trattativa e vogliono andare avanti ad oltranza.

In realtà proprio le armi e le sanzioni dovrebbero venire usati come leva di pressione con i due acerrimi nemici. Da una parte bisognerebbe ricordare al presidente ucraino che i successi sul campo sono dettati non solo dalla determinazione delle truppe, ma dalle armi e dall'appoggio segreto occidentale. E sarà necessario, più prima che dopo, trovare una via d'uscita negoziale al conflitto, che difficilmente potrà concludersi con una schiacciante vittoria militare che ricacci i russi oltre confine, liberando pure la Crimea. Se Zelensky continuasse a fare orecchie da mercante, bisognerebbe fargli presente, senza tanti giri di parole, che se chiudessimo il rubinetto degli aiuti, non solo militari, gli ucraini si ritroverebbero a combattere con fionde e cerbottane.

Ancor più a muso duro va affrontato Putin, ricordandogli, con qualche foto satellitare dei centri comando russi inceneriti dagli Himars, che le armi occidentali e l'appoggio della Nato fanno sempre più male, come hanno dimostrato gli ucraini nella recente avanzata. Pure le sanzioni, se noi stringiamo i denti per l'effetto boomerang, a lungo andare saranno pesanti per la Russia. E adesso sulla stessa tv finanziata da Gazprom, oltre che sui social, emergono proteste opposte sulla guerra scatenate dalla débâcle sul terreno. Sia i falchi, che vogliono il conflitto totale, sia analisti ed ex deputati, pronti a denunciare una «guerra coloniale» da chiudere in fretta: tutti contro Putin, che farebbe bene a scendere a patti accettando una via d'uscita negoziale dal pantano ucraino.

Ma chi dovrebbe mediare una pace che sembra lontanissima? Non certo il sultano Erdogan o gli americani, pronti alla guerra fino all'ultimo ucraino a casa d'altri, nel cuore del Vecchio continente.

Solo l'Europa potrebbe tentare l'impresa, ma con un mediatore che la rappresenti, veramente, con la E maiuscola.

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