"Avevamo capito che Stasi era il killer a pochi mesi dal delitto"

"Riuscimmo a stanare il serial killer Donato Bilancia in soli 40 giorni. L'omicidio più complesso resta quello di Chiara Poggi" spiega in un'intervista a ilGiornale.it l'ex comandante dei Ris di Parma Luciano Garofano

"Avevamo capito che Stasi era il killer a pochi mesi dal delitto"

"L'omicidio più complesso è stato quello di Chiara Poggi". Non ha dubbi Luciano Garofano, biologo e generale in congedo dell'Arma dei carabinieri, che dal 1995 al 2009 è stato a capo dei Ris di Parma, lavorando sulla scena del crimine dei delitti più cruenti dell'ultimo ventennio. Dal caso di Cogne al massacro di Novi Ligure passando per il delitto di Garlasco, nella sua lunga e onorata carriera Garofano vanta anche il merito di aver stanato il serial killer Donato Bilancia: "È stato l'assassino seriale più atipico", spiega in un'intervista concessa a ilGiornale.it

Comandante Garofano, lei è stato a capo dei Ris di Parma dal 1995 al 2009. Come si sono evolute le tecniche di indagine nel corso degli anni?

"Tecnica e scienza hanno migliorato le nostre capacità di intervento sulla scena del crimine, consentendoci di scandire in maniera più precisa, le varie fasi dell'attività di indagine. Nel corso degli anni, sono aumentate le possibilità di analisi scientifica sul luogo del delitto. Questo ci ha imposto una rimodulazione delle tecniche di intervento e ci ha permesso di capire che il solo dato empirico non era più sufficiente. Così ci siamo dati dei nuovi protocolli, che senza ombra di dubbio hanno portato a risultati sempre più precisi".

Qual è stata l'innovazione che, in base alla sua esperienza, ha segnato la svolta?

"Disporre di luci forensi che permettono di mettere in evidenza tracce invisibili ha segnato una svolta importante. Successivamente con il luminol potevamo mettere in evidenza tracce di sangue invisibili e, congiuntamente all'analisi del Dna, ci ha dato la possibilità di cercare le tracce non percettibili a occhio nudo".

Cosa sono le "tracce invisibili"?

"Le tracce papillari, ovvero le impronte digitali ad esempio. Ma ce ne sono molte altre non visibili a occhio nudo che invece si rivelano significative ai fini dell'indagine".

Quali sono per un Ris gli elementi più importanti sulla scena del crimine?

"Intanto dipende dal tipo di evento che bisogna approfondire. Un conto è un colpo da arma da fuoco, un altro se si tratta di un delitto in cui alla vittima sono state inferte delle ferite con arma da punta e taglio ad esempio. In misura dell'evento cambia l'importanza degli elementi da repertare. Fondamentale è poi se sulla scena del crimine vi sia o meno la vittima e se l'evento sia occorso in un ambiente chiuso o aperto. A seconda della scena del delitto cambiano la strategia di intervento e le competenze dei professionisti chiamati a fare una valutazione".

Quanti e quali sono i professionisti dei Ris che di norma intervengono sulla scena del crimine?

"Normalmente le pedine stabili sono: un fotografo che documenti la scena del crimine, un responsabile che coordini le attività, un biologo, un esperto di impronte papillari e poi, in funzione dell'evento, l'esperto che caratterizza e connota quella scena. Faccio un esempio: se c'è stato un delitto d'arma da fuoco, in tal caso interverrà un esperto di balistica. Quindi stiamo parlando di 4 o 5 persone al massimo".

Luciano Garofano

Quanto è importante il "fattore tempo" per la risoluzione di un caso?

"Sicuramente prima si interviene e prima c'è una minore dispersione delle tracce e una migliore raccolta di tutti gli elementi a disposizione. Però bisogna sfatare il mito che la tempestività sia l'unico fattore da cui dipende tutto. L'elemento che ritengo ancor più importante è la luce. Nella vicenda di Cogne, ad esempio, ricordo che abbiamo preferito intervenire al mattino, invece che a tarda sera, quando ci hanno chiamati, in quanto bisognava cercare elementi sia all'interno che all'esterno dell'abitazione. E in ogni caso un solo sopralluogo non basta mai. Nel primo intervento si raccolgono tracce che, una volta analizzate, suggeriscono dove andare ad approfondire ulteriormente. Non è detto che tutto si esaurisca in una sola occasione".

Cos'è la "prova regina"?

"Anche in questo caso dipende dal tipo di evento. Il Dna e le impronte papillari fanno sicuramente la differenza perché consentono di identificare una persona fisica. Soprattutto il Dna, essendo presente in numerose tracce biologiche (sudore, saliva, sangue, sperma), è tra le prove scientifiche la più significativa. Sta di fatto che, in ogni caso, bisogna tener conto di tutti gli elementi raccolti sulla scena del crimine, sempre".

L'analisi dei video e dei tabulati telefonici stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Lo conferma?

"Le celle telefoniche e le registrazioni delle telecamere di sorveglianza hanno aggiunto altri elementi importanti. Attraverso l'esame delle celle e dei video, ad esempio, possiamo scandire i movimenti e i comportamenti delle persone coinvolte nella vicenda. Ovviamente poi gli elementi ottenuti dallo studi delle celle e dei filmati devono essere confrontati con le dichiarazioni rese dai protagonisti agli inquirenti. Ma è fuori da ogni dubbio che abbiano notevole rilevanza nella fase d'indagine".

Lei si è occupato anche di serial killer. Quali sono le tracce di un assassino seriale sulla scena del crimine?

"I serial si qualificano per l'area geografica in cui operano, le modalità con cui aggrediscono, le vittime e l'arma. C'è sempre una costante negli eventi omicidiari di un assassino seriale. Talvolta lo studio della Bpa (Bloodstain Pattern Analisys), ovvero della morfologia, delle dimensione e della distribuzione degli schizzi di sangue, ci permette di capire la dinamica dell'aggressione e, di conseguenza, fare un confronto con eventi analoghi che potrebbero suggerire un unico autore".

Qual è stato il serial killer più di atipico?

"Sicuramente Donato Bilancia. All'esame dei criminal profiler ha fallito perché si è spostato in diversi territori colpendo vittime tra loro molto diverse e con modalità differenti. Lo studio balistico dei proiettili e delle tracce biologiche che lasciava sul terreno o sulle vittime ci ha permesso però di stanarlo in soli 40 giorni a fronte di un assassino che era riuscito a uccidere anche tre persone in una sola settimana".

Qual è stato, in generale, il caso più complesso?

"L'omicidio di Chiara Poggi è stato molto complesso. Che fosse stato il dottor Alberto Stasi a colpire la vittima noi dei Ris ci eravamo arrivati a distanza di pochi mesi dal delitto. Abbiamo puntato alla mancanza di sangue sulle sue scarpe e sulla mancanza delle impronte delle calzature che indossava quando è entrato nella villetta dei Poggi. Eppure ci sono voluti 8 anni prima che si giungesse a una condanna. E questo la dice lunga su come durante il confronto processuale tante cose non vengano capite".

E invece quello più "particolare"?

"L'omicidio di Maria Fronthaler, ad esempio, è stato il primo caso di screening genetico, ancor prima di Yara Gambirasio. Poi c'è stato Cogne per tutta una serie di elementi che non solo riguardavano gli aspetti psicologici della vicenda ma anche quello delle tracce repertate in quella villetta. Quando s'indaga in ambito familiare le difficoltà aumentano notevolmente perché molte delle tracce si possono confondere con quelle dovute alla convivenza tra i protagonisti della vicenda. E in effetti il contributo più importante alla soluzione in quel drammatico caso è venuto con la Bpa".

Il 3D è l'ultima frontiera delle indagini?

"Il 3D è un sistema di misura e in quanto tale può essere molto utile. Si tratta di una proposta ricostruttiva visuale, in tre dimensioni per l'appunto, dei dati raccolti. Ci permette di animare qualcosa che altrimenti sarebbe statico. Ma talvolta può essere fuorviante perché può fornire una ricostruzione che va oltre l'obiettività del dato. Bisogna utilizzare questa misura con molta parsimonia".

Cosa ne pensa del caso di Bolzano?

"Non mi espongo perché non me ne sto occupando personalmente. Dico solo che, se sono arrivati a quel fermo, vuol dire che ci sono degli elementi obiettivi. In ogni caso bisogna attendere le analisi. Le tracce raccolte nell'autovettura, in casa dei due coniugi e l'esito dell'autopsia sulla salma della signora potranno dirci qualcosa in più. Indicare un possibile responsabile è molto semplice ma poi bisogna provarlo. Bisogna stare molto attenti, le ipotesi vanno sempre verificate. Le sentenze spettano ai giudici".

“Delitti imperfetti”. Ma i Ris sbagliano mai?

"Noi non suggeriamo il colpevole, raccogliamo e analizziamo degli elementi sulla scena del crimine. Oggi non tutto è perfetto.

Anzi l'approccio è ancora discutibile specie per quanto riguarda i primi accessi sulla scena del delitto ovvero, quelli delle prime pattuglie e dei soccorritori. Bisogna lavorarci ancora molto, dobbiamo arrivare a un coordinamento ottimale tra chi interviene sulla scena del crimine. Su questo difettiamo ancora".

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