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"Bella ciao" e l'Internazionale della sinistra nostalgica

"Bella ciao" e l'Internazionale della sinistra nostalgica

Cosa accade a una vecchia canzone se la cantano tutti? Si perde, non si riconosce. È il destino di Bella ciao.

Strasburgo, una mattina di fine novembre. Il nuovo governo europeo di Ursula von der Leyen ha appena ottenuto la benedizione del Parlamento. I vicepresidenti Frans Timmermans e Maros Sefovi si alzano in piedi, li seguono il commissario al Lavoro Nicolas Schmit, Jutta Urpilainen (partenariati internazionali), Helena Dalli (uguaglianza), Elisa Ferreira (coesione e riforme) e Paolo Gentiloni (affari economici), l'unico che conosce bene le parole. Tutti insieme cominciano a cantare e a battere le mani, più o meno a tempo: «Una mattina mi son svegliato, oh bella, ciao. Bella ciao, bella ciao, ciao, ciao. Una mattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor». Tutti hanno facce da superstato e incarnano nel bene e nel male la maschera del potere. L'invasore è un male oscuro che sembra arrivare all'orizzonte. Una settimana dopo appare il video e indispettisce Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Bella ciao è un canto di libertà di cui nessuno conosce veramente la storia. Giorgio Bocca, da partigiano, sosteneva che in montagna non l'hanno mai cantata. C'è chi raccontava, come una leggenda, che fosse il canto delle mondine. Chi ne rivendica, senza prove, testo e paternità. Tutto questo comunque non importa. Di certo c'è che ormai è un tormentone globale. È la sigla del 25 aprile. È il canto degli antibanchieri anarchici della «Casa di carta». La cantano nelle barricate di Santiago del Cile e a Piazza Taksim a Istanbul, nelle strade di Hong Kong e tra i combattenti curdi, i secessionisti catalani e le «sardine» che lanciano slogan contro un'Italia di slogan. È la preghiera degli amici di Greta per salvare santa madre Terra. È perfino la parodia quasi blasfema dei produttori padani che contro tasse e dazi invocano un «o parmigiano portami via». A sentirla sembra davvero il canto della rivolta della ragazza di fuoco in Hunger Games.

Il testo di questa canzone dalle tante facce nasconde però anche qualcosa di intimo e personale. La bella a cui dire ciao è anche l'età dell'innocenza. È l'addio alla casa, alla giovinezza, a un mondo che sfiorisce. È il disincanto di chi non si sente più sicuro e va a riprendersi una speranza di futuro. Cosa resta di tutto questo? Un tormentone.

Bella ciao come resistenza, solo che si fatica a capire contro chi. Contro i fascisti, i nazisti, i sovranisti o contro le banche, contro il capitalismo o l'America, che hanno sconfitto i nazifascisti, contro il liberalismo e la democrazia, contro il ricco comunismo cinese, contro lo Stato islamico e Erdogan, contro Madrid, contro il populismo e contro il popolo o contro quella stessa Europa che fa il karaoke e batte le mani.

Il sospetto è che se gli interpreti di questa vecchia canzone si incontrassero lo spettacolo di «resistenza umana» finirebbe in rissa. Tutti a puntare l'indice contro l'altro, perché questo è un tempo grigio sotto il segno della paura. Alcune paure sono vere, altre immaginarie, tanto che perfino i commissari europei hanno bisogno di sentirsi un po' eroi a tempo perso.

Vittorio Macioce

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