Beppe Grillo ha sbroccato, non accetta che suo figlio vada a processo per stupro e posta sui suoi social un'intemerata contro la magistratura e il mondo intero, il quale non capirebbe che il ragazzo è stato sì un cretino a organizzare un'orgia, ma non è un delinquente. Come padre lo capisco, difendere il proprio figlio a prescindere dai fatti è cosa naturale, per certi versi un dovere. Ma Grillo va oltre, urla che un sospetto, un'ipotesi accusatoria, non c'entra con la verità e lascia intendere un complotto ordito dalla magistratura per screditare la sua famiglia e colpire lui. «Arrestate me», dice al culmine della rabbia, non accettando quindi che suo figlio si difenda «nel processo» ma che quel processo lo eviti in base a un diritto divino.
In pochi minuti di video, Grillo rinnega il suo verbo di sempre, fatto poi proprio dai suoi adepti: fiducia a prescindere nella magistratura pura e infallibile, onestà, rigore morale, intransigenza, punizioni esemplari, libertà di dileggio di padri e figli (ricordate le sue battutacce sul Trota Bossi) e non ultimo la cultura del sospetto elevata a legge dello Stato. Nessun leader politico può pensare di parlare per fatto personale, soprattutto se a capo del partito che regge la legislatura e il governo. Quindi ci piacerebbe sapere se Grillo intende dire che una donna nel caso una ragazza che denuncia uno stupro di gruppo con sette giorni di ritardo dall'accaduto non è a prescindere una vittima, ma una pazza opportunista e millantatrice. Così come vorremo capire se davvero Grillo per la prima volta sta ammettendo che la magistratura può prendere decisioni non in punta di diritto, ma di convenienza politica. Se, come si evince dal suo messaggio di ieri, le risposte sono «sì» in entrambi i casi, allora i Cinque Stelle dovrebbero intraprendere strade politiche diverse dalle attuali, tipo non opporsi, ma dare il via libera a una commissione d'inchiesta che faccia luce sulle zone d'ombra della giustizia.
In effetti in questa vicenda una anomalia c'è, ed è grossa come una casa, ma non è quella sostenuta da Grillo.
Mi riferisco al fatto che un'inchiesta per stupro che coinvolge il figlio di un leader di governo sia stata tenuta nel cassetto a differenza di qualsiasi altra - per ben due anni, e acceleri solo poche settimane dopo che i grillini hanno perso il controllo del ministero della Giustizia, con il defenestramento di Alfonso Bonafede.
Coincidenze, ovviamente, ma perfettamente in linea con il «sistema» ambiguo tra politica e magistratura raccontato da Palamara: i tempi della giustizia coincidono con quelli della politica, a volte in favore di verità, altre contro.
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