Cronache

A caccia di radioattività nell'ultima centrale nucleare italiana

Inaugurata nel 1963 con una spesa record, l'impianto ha funzionato soltanto per 15 anni e poi è stato spento. Oggi gli italiani pagano oltre mezzo miliardo di euro per costruzione, smantellamento e per i rifiuti "ospitati" in Francia

A caccia di radioattività nell'ultima centrale nucleare italiana

Una delle quattro centrali nucleari italiane sorge lungo l’antica via Appia, proprio sulla linea di confine tra Lazio e Campania, solcata naturalmente dal fiume Garigliano che sfocia nel mar Tirreno. Tra i pini tipici della riviera, nel territorio di Sessa Aurunca (Caserta), svetta un’enorme sfera bianca, che ancora oggi i residenti chiamano "la mozzarella". E’ la centrale nucleare del Garigliano, una delle scommesse perse dell’Italia del boom economico. Nel 1958 furono stanziati ben 40 milioni di dollari dell’epoca per la grande opera. Un maxi-investimento in effetti mai più ripetuto dal nostro Paese. A disegnare la grande sfera che racchiude il nucleare, per molti una vera e propria opera di avanguardia, l’ingegnere del cemento Riccardo Morandi.

Ed è ancora a ridosso del corso d’acqua che l’impianto - oggi di fatto un reperto di archeologica industriale - attraversa il suo ultimo ciclo di vita. La centrale è infatti in disuso dal 1982, quando l’Enel - allora proprietaria - la disattivò perché il suo ammodernamento costava troppo vista la poca vita residua dell’impianto. Ben cinque anni prima che con un referendum gli italiani scegliessero di abbandonare il nucleare e di chiudere definitivamente le centrali sul territorio nazionale.

Eppure al Garigliano (come negli altri tre impianti elettronucleari italiani) non tutto si è esaurito nel 1987. Da allora è iniziata la faticosa strada in salita per smantellare la centrale. Un programma ancora in corso e che oggi si può dire essere giunto soltanto a metà. A farsi carico del progetto è Sogin, ente statale divenuta proprietaria dell’impianto nel 1999. E’ soltanto da allora, 12 anni dopo il referendum e ben 17 dalla chiusura della centrale, che è stato avviato il maxiprogetto di smantellamento. Un’operazione complessa, costosa e lunga. I lavori veri e propri sono cominciati nel 2006 e la scadenza è tra il 2026 e il 2028: è allora che saranno stati smantellate 268.150 tonnellate di rifiuti e 5.739 tonnellate di rifiuti radioattivi. Un’operazione che costerà circa 400 milioni di euro, che stanno pagando i cittadini nella voce A2 della bolletta della corrente elettrica.

L’impegno dei tecnici riguarda i lavori di allontanamento del combustibile nucleare, della decontaminazione e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Terminati i lavori di decomissioning, i rifiuti saranno pronti per essere trattati al Deposito Nazionale. Il problema, però, si riproporrà proprio tra il 2026 e il 2028. Oggi l’Italia non ha un Deposito Nazionale disponibile, lo attende da anni e nel frattempo paga la Francia per ospitare le scorie inviate e custodite. «Per l’Italia è fondamentale avere un Deposito Nazionale - sottolinea uno degli esperti - ma i governi hanno discusso per anni ed oggi il tema non sembra tra essere tra le priorità». Così - ricalcando al meglio le falle del Paese Italia sulle grandi questioni ambientali - si procede a dei lavori di bonifica nucleare senza sapere dove poi finiranno le scorie.

La vera sfida sarà decontaminare il reattore, il cuore sferico dentro il quale è presente ancora oggi il 99% dei materiali radioattivi oggi presenti nella centrale del Garigliano, che però è soltanto una minima parte di tutti rifiuti già rimossi da Sogin negli ultimi 14 anni. Si tratta ormai di rimuovere l'1% della radioattività rimasta nell'impianto, come specifica lo stesso ente statale. Soltanto allora, a ridosso del 2030, si potrà pensare alla nuova vita della ex centrale, sognando - forse - un polo scientifico e turistico. Alla fine ci saranno voluti quattro anni per costruirla e ben 40 per demolirla.

Perché un reattore non si spegne come una lampadina.

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