Non ci sono giustificazioni. La chiusura del Cenacolo di Leonardo il primo maggio è una inconcepibile testimonianza di abdicazione dello Stato e di mancanza di rispetto per i cittadini italiani e per i turisti e visitatori stranieri.
Una pagina umiliante e deprecabile. La proprietà del Cenacolo è dello Stato, e la sua natura è di un museo pubblico come gli Uffizi, come il Louvre, come Brera.
Ma l'aggravante è che è l'opera più importante di Leonardo, nel cinquecentesimo anniversario della morte dell'artista, e proprio nella notte tra l'uno e il due maggio, che coincide con quello della sua scomparsa. Una data tanto importante e simbolica da far incontrare, in Francia, ad Amboise, il presidente italiano e il presidente francese per ricordare, in quel giorno fatale, il grande artista e scienziato. Non solo il primo maggio non doveva essere chiuso il cenacolo, ma sarebbe stato importante tenerlo aperto anche di notte, in una vigilia così carica di significato.
Un turista russo, americano o cinese che avesse scelto l'anno e il giorno della celebrazione per venire a Milano, trovando le porte chiuse avrebbe avuto ragione non solo di indignarsi e protestare ma di avvertire tutta la sciatteria, negligenza e mancanza di rispetto per l'uomo che più di ogni altro ha onorato l'Italia. Se Mattarella è in Francia per onorare Leonardo, il ministro Bonisoli si deve scusare per non averlo onorato, e per non aver consentito ad altri, da ogni parte del mondo, di farlo. Cosa dovevano fare di più importante i custodi, il primo maggio? E risulta che fosse chiusa Brera?
Sarebbe stato sufficiente chiuderne due sale, e destinare i custodi necessari al Cenacolo. Che è, d'altra parte, un museo anomalo, perché più chiuso che aperto, in nome di una falsa e maligna leggenda sulla precarietà dello stato di conservazione del glorioso dipinto. Bugie, mistificazioni, dal momento che l'opera è pressoché inesistente, ridotta a una larva eloquentissima, ovvero un fantasma di quello che è stata. Essa è veramente un puro concetto, rappresentando nella sua composizione il precetto leonardesco: «La pittura è cosa mentale». Così essa appare nella sua essenza profonda, come la sindone rispetto al corpo di Cristo: un'impronta di ciò che è stato. E perché si dà questo? Perché Leonardo, contro ogni regola e tecnica, sia pratica sia teorica (penso al Trattato sulla pittura di Cennino Cennini, maestro dell'affresco), dipinse il Cenacolo a secco, non sull'intonaco fresco che, nell'arco di una giornata, avrebbe permesso al colore di amalgamarsi con la malta, con risultati da sempre straordinari, anche nell'antichità, e mirabili: per esempio nei cenacoli fiorentini di Andrea del castagno a Santa Apollonia e di Ghirlandaio a Ognissanti.
Chissà cosa lo spinse a questa scelta: forse la pigrizia, la volontà di finire nel dettaglio, senza la fretta imposta dai tempi di asciugatura dell'intonaco. E, infatti, invece dei 50/60 giorni di rito, lavorò al Cenacolo, in un cantiere aperto, con universale diletto e piacere, per almeno cinque anni. Dall'altra parte, lo stesso ritratto della Gioconda, opera di formidabile concentrazione, appare di lunghissima elaborazione e, comunque, incompiuta. Vasari scrive: «E quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto». Quanto al Cenacolo, già cinquant'anni dopo la sua elaborazione appariva ammalorato, per esclusiva responsabilità di Leonardo.
E, pur avendo resistito al bombardamento della seconda guerra mondiale, le sue condizioni apparivano tali da imporne una quasi totale ridipintura al grande restauratore Mauro Pelliccioli, che tentò di ricostituirne la identità materiale. Vennero poi decenni di ricerche e interventi di Pinin Brambilla Barcilon, con un contributo economico della Olivetti smisurato, circa 20 miliardi di lire.
La paziente restauratrice vi lavorò dal 1978 al 1999; e io più volte salii sulle impalcature, vedendo più quello che non c'era che quello che c'era, con le integrazioni sensibili, e in tono, rispetto alla rara pellicola sopravvissuta. Poi cominciò la leggenda della cosiddetta «scienza» del restauro, per cui, a un'opera condotta in quelle condizioni, avrebbero recato danno il fiato e la polvere delle scarpe dei visitatori. Un milione di visitatori potenziali e desideranti, per ammetterne poco più di trecentomila, contingentati e purificati, in una specie di camera iperbarica, 25 alla volta per 15 minuti. Ciò ha ovviamente imposto prenotazioni forzate e l'impossibilità non solo dell'inagibilità per molti, ma anche di poter entrare semplicemente pagando il biglietto all'ingresso.
Un meccanismo tortuoso e insensato, a fronte di un problema inesistente, amplificato dai ben locupletati scienziati del restauro. Quando, prima di Adolfo Guzzini, Peter Greenaway provò ad animarlo con la proiezione di luci parlanti, io, assessore a Milano, fui costretto a far preparare una riproduzione 1:1, di alta fedeltà, per fare la sperimentazione, luminosa ed eloquente, nella Sala delle Cariatidi in Palazzo Reale. Tutta retorica e nessuna sostanza. Tutte chiacchiere e distintivo.
Finché, in tempi recenti, Oscar Farinetti mi ha confidato di aver ottenuto (spero sia possibile) la gestione del Cenacolo, per corrispondere meglio alle esigenze dei visitatori, sia aumentandone il numero, tra i 40 e i 50 alla volta, con una distanza maggiorata di 5 metri, sia programmando visite notturne, per raddoppiare il numero dei visitatori.
Certamente, un gestore intelligente non avrebbe consentito mai la chiusura del primo maggio, oltre che per le ragioni simboliche che abbiamo detto, e per l'anniversario che ci vede comunque subalterni al Louvre (che realizzerà a breve la grande mostra monografica, umiliandoci), anche perché i musei devono essere aperti sempre nelle giornate di festa, per ovvie ragioni, di turismo e di rispetto per la cultura e la dignità dello Stato. Quello che è accaduto è imperdonabile. Preferirei dire: impossibile. Un primo maggio umiliato. Un insulto all'Italia e a Leonardo da parte dello Stato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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