Cene e piani segreti: inizia l'era del Prof

Il rpimo giorno dell'incaricato tra cene segrete, manovre e piani di resistenza

Cene e piani segreti: inizia l'era del Prof

Primo giorno nell'anno del governo di Giuseppe Conte, che probabilmente partirà, ma non si sa quanto durerà. Martedì, alla casa del Cinema di Roma, immersa nel verde di villa Borghese, in una serata di musica alternativa e gente variopinta, Valentina, consorte separata di quello che dovrebbe essere il prossimo premier, se la prende con tutte «le stupidaggini» (l'espressione è sua) che si dicono sul professore. Alla stessa ora, al ristorante Grano, dietro al Senato, Giancarlo Giorgetti, consigliere di Matteo Salvini e plenipotenziario per la montagna di nomine, continua nel suo scouting tra gli ex grand commis di Stato da cooptare. Al tavolo con lui è seduto Massimo Sarmi, ex presidente di Poste italiane, già vicino ad An che, con i suoi «ex», è diventata un serbatoio di «quadri» per la Lega. Una lunga conversazione, interrotta da Giorgetti solo per una telefonata a Silvio Berlusconi, per dolersi delle dure parole pronunciate da Renato Brunetta contro Salvini in televisione, definito «traditore».

Nella Roma cinica della Grande Bellezza, ormai i protagonisti sono i «nuovi barbari», per dirla con il Financial Times. La Città Eterna di invasioni ne ha viste tante e supererà anche il primo anno del Professore. Del resto un Professore, padrone di casa nel Palazzo, lo ha già avuto con Mario Monti: partì acclamato come un salvatore, finì fischiato come capitan sventura. Conte, invece, non ha ancora cominciato il suo mandato ed è già assediato da polemiche e sarcasmi: per la seconda volta in questo Paese un governo si trova contro Confindustria, ancor prima di partire (basta guardare a quello che ha detto il presidente Boccia all'assemblea degli industriali); per ritrovare la prima volta, bisogna risalire al 1962, ma lì ci fu uno scontro di interessi, visto che il primo governo di centro-sinistra nazionalizzò l'energia. Oggi, invece, gli industriali sono mossi dalla paura, temono che il sistema crolli, paventano la deindustrializzazione (i «no» alla Tav, all'Ilva), il ritorno alla società agro-pastorale. Ma non sono i soli: nelle cancellerie europee, a Washington, sui mercati, tira la stessa aria. Al Quirinale c'è chi confida che chi ha mosso quei mondi è stato l'ex-ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che ha lanciato allarmi sui rischi: così ieri lo spread prima ha superato la soglia psicologica dei 200 punti, poi si è fermato a 190. Anche il presidente del Bundestag, l'uomo di ferro Wolfgang Schäuble, nella sua preoccupata telefonata al Colle ha fatto riferimento all'elenco delle «incognite» illustrate da Tremonti. Prime fra tutte le dottrine del possibile ministro dell'Economia, Paolo Savona, sull'uscita dall'euro e dintorni. Il termometro della paura sono i vecchi democristiani, terrorizzati. «Vedo un futuro nero», predice nel ruolo di Cassandra il novantaduenne Arnaldo Forlani. «Vediamo cosa combineranno osserva dall'alto della sua esperienza l'ex-ministro dell'Interno, Nicola Mancino : quello scoop del New York Times sul curriculum del possibile premier, ha tutta l'aria di essere un avvertimento degli americani». E in molti c'è una punta di critica anche sull'ex-compagno di partito Sergio Mattarella. «Ha paura della sua ombra», ironizza Giuseppe Gargani, che militava nella stessa corrente dc.

Appunto, il capo dello Stato. Non sono pochi quelli che storcono il naso, che gli rimproverano un comportamento troppo remissivo nei confronti dei 5stelle. Prima ha elencato le sue prerogative, citando Einaudi; poi, dopo che Di Maio e Salvini hanno riproposto il nome di Conte malgrado le polemiche su di lui si moltiplicassero (ieri è arrivato anche l'elenco delle tasse non pagate e si è saputo che acquistò la casa da Giuseppe Statuto, uno degli arcinoti «furbetti del quartierino») e dopo una specie di «ukase» su Facebook nei suoi confronti di Di Battista, Mattarella ha ceduto. Ed è probabile che si ripeta anche sulla questione di Savona al ministero dell'Economia, anche se ieri al presidente incaricato ha ripetuto le sue perplessità. Insomma, dal Quirinale arrivano riserve, per non dire veti, ma per i due dioscuri fa lo stesso.

Nella storia della Repubblica siamo di fronte al primo governo «fai da te»: due «vicepremier» che la faranno da padroni e un premier ridotto al ruolo di una commedia del Goldoni, Arlecchino servitore di due padroni. «Salvini e Di Maio si lamenta da giorni Michele Anzaldi del Pd hanno fatto tutto quello che hanno voluto».

È andata più o meno così. L'altra notte il capo dello Stato ha tentato un minimo di resistenza, ma si è trovato di fronte l'aut aut dei due dioscuri: «O Conte o nuove elezioni». E, di fronte alla prospettiva di ritrovarseli tra qualche mese con ancora più voti di oggi, il capo dello Stato ha detto «sì». «A noi andava bene in ogni caso racconta l'economista leghista per eccellenza, Borghi -: se partiamo è interessante, se si vota ancora meglio. Perché l'abbiamo fatto al costo di rompere il centrodestra? Se ci inimichiamo Berlusconi al massimo avremo le sue tv contro, ma se dovessimo governare con il centrodestra avremmo contro, nelle piazze e in Parlamento, sia i 5stelle, sia il Pd. Prospettiva peggiore». Un aut-aut che probabilmente useranno anche per imporre Savona: «Sui titoli e sulle competenze non possono dire niente, quindi il veto di Mattarella è sulle sue idee sulla Ue. C'è sempre pronto Giorgetti, ma se Mattarella dice no a Savona, lo accuseremo delle cose che non riusciremo a fare». Insomma, usano la ruspa con il Quirinale. Mentre, vista la carenza di voti al Senato (la maggioranza è appena a più sei), Salvini rassicura a parole il centrodestra. E i suoi consiglieri vanno anche oltre. «Mi hanno assicurato racconta Enrico Costa che appena i grillini faranno qualche scherzo su Tav e resto, li mandano a quel paese e, visto che nel frattempo si sarà rimpinguato il gruppo misto, facciamo il governo del centrodestra».

Suggestioni che non funzionano con tutti. «Quelli a primavera ci portano alle elezioni paventa un altro azzurro, Occhiuto dicendo che non li abbiamo fatti governare».

E anche gli uomini della Meloni che, nelle intenzioni di Salvini, dovevano puntellare il nuovo governo, ora ne sono diventati i più fieri oppositori. «Votiamo contro elenca Ignazio La Russa perché il premier è un grillino, per giunta tecnico, e per di più uno sconosciuto già sputtanato. Il che è una contraddizione in termini. Questi vanno fatti cadere. Presto».

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