Centauri

Uno strappo dopo l'altro e il confine tra politica e magistratura si sposta sempre più in là.

Centauri

Uno strappo dopo l'altro e il confine tra politica e magistratura si sposta sempre più in là. Siamo arrivati al punto che Catello Maresca, ex-sostituto procuratore di Napoli e candidato a sindaco, tornerà in magistratura alla corte d'Appello di Campobasso e contemporaneamente ricoprirà il ruolo di consigliere comunale nel capoluogo campano. Abbiamo raggiunto il colmo e il Csm ha accompagnato l'assenso sofferto alla nomina con la richiesta al Parlamento di intervenire per evitare che casi simili si ripetano. Non bastavano le correnti «politiche» interne, l'ingegneria genetica che guida la metamorfosi della nostra magistratura ha partorito il «mostro» perfetto: il politico-magistrato. Ma la colpa non è di Catello Maresca, finito sotto i riflettori solo perché si è presentato alle elezioni con il centrodestra, ma di chi ha fatto marcire la situazione, perpetuando un vuoto giuridico profondo come un cratere e, soprattutto, ha messo la testa sotto la sabbia per non vedere il rapporto malato che intercorre tra politica e magistratura.

Venticinque anni fa il sottoscritto scrisse un editoriale per La Stampa dal titolo «I centauri», che affrontava la questione di quei magistrati che nei comportamenti seguivano logiche politiche: fui querelato dall'intero pool di Milano; un anno dopo Di Pietro fu eletto al Senato. Sono stato giudicato e condannato mentre ricoprivo la carica di senatore di Forza Italia da un giudice che era stato per 12 anni parlamentare del Pd e per due volte sottosegretario in due governi dell'Ulivo. Esterrefatti i suoi stessi colleghi di partito contribuirono a respingere la richiesta di decadenza da senatore prevista dalla legge Severino. Di più: fu approvata al Senato una proposta di legge che evitava le cosiddette «porte girevoli», cioè la possibilità per un magistrato, che avesse scelto la politica, di tornare al vecchio mestiere. Si arenò negli scantinati della Camera: scrissi sul Giornale che era stata dimenticata perché l'allora presidente della commissione Giustizia, deputata del Pd e magistrato, concluso il mandato da parlamentare, puntava a reindossare la toga in Cassazione. Negarono. Finì la legislatura e puntualmente la suddetta approdò alla Corte Suprema.

Sono episodi vissuti in prima persona, ma a leggere le cronache, «devianze» di questo tipo sono innumerevoli. Il problema non sono i singoli «casi», ma il sistema. Un sistema per cui, specie a sinistra, la politica sfrutta la magistratura. E viceversa. Creando grossi problemi nell'organizzazione della giustizia: dicono che sia lenta perché mancano i magistrati; ma se poi vai a vedere tra i capi di gabinetto o negli uffici legislativi dei ministeri, di toghe ne trovi a bizzeffe. Per non parlare della questione principale, dell'ombra che queste commistioni lanciano sui processi e sui verdetti.

Due giorni fa il ministro Cartabia ha citato una massima che chiunque abbia una laurea in legge conosce a memoria: «Un giudice non deve essere solo imparziale, ma apparire tale». All'atto pratico non c'è nulla, purtroppo, che appaia più vuoto di questa frase.

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