Charlie Hebdo e la libertà di blasfemia

Offese ai cattolici: la nuova vignetta del periodico francese

Charlie Hebdo e la libertà di blasfemia
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Con i dodici cadaveri ancora caldi in redazione, eravamo tutti Charlie Hebdo. Poi pian piano ci siamo accorti che eravamo Charlie Hebdo, ma con delle riserve. E infine siamo finiti a pensare che va beh, i fratelli Kouachi forse hanno esagerato a sterminarli in nome di Allah nel 2015, ma insomma, questi maleducati un po' se la sono cercata.

La vignetta pubblicata dal foglio satirico francese il 16 agosto riapre quello che è un tema interculturale sotterraneo di questi anni, ovvero se esiste un limite alla libertà - di parola, di satira e anche di insulto - in una società liberale come quella occidentale. La vignetta (foto) ritrae la Madonna di Lourdes coperta dalle pustole del vaiolo delle scimmie, mentre una folla di fedeli indispettiti le rivolge fumetti di insulti, tra i quali «bugiarda» è il più gentile e meno blasfemo. Per dire, a Maometto - che fu disegnato con una bomba nel turbante o mentre si copriva la faccia lamentando che «è dura essere adorati da dei coglioni» - era andata meglio.

Comprensibilmente sdegnate, due associazioni cattoliche francesi hanno prima sporto denuncia per istigazione all'odio religioso e poi lanciato una petizione per il sequestro del giornale, raccogliendo 25mila firme. Di fatto, si chiede una censura.

A nostro gusto, la vignetta si muove tra i territori mefitici del respingente e del volgare (habitat naturale della satira dai classici latini e greci) e soprattutto ha il grave torto di non far ridere. Come spesso succede a Charlie Hebdo, che fra sodomia e deiezioni era repellente e poco divertente anche quando parlava di Allah o Geova. La satira nasce come rottura liberatoria di gioghi morali e culturali, di regole e regimi, come diceva Dario Fo. In Occidente tutto questo strapotere coercitivo della Chiesa e della morale cattolica non si vede più e nella laicissima Francia sono più rispettate le prescrizioni di un farmaco da banco che i dieci comandamenti. Perciò, non si coglie granché la portata rivoluzionaria della vignetta, che somiglia più alla brutalizzazione grossolana dei credenti che a una messa in discussione del potere costituito. E in quanto bullismo fine a se stesso, non fa ridere.

Il tema però è un altro, ovvero se l'Occidente figlio dell'illuminismo e culla ideale della tolleranza ha il diritto di censurare qualcosa solo perché offensivo, schifoso o volgare. In particolare, la domanda investe le coscienze di chi si riconosce come conservatore, qualsiasi cosa voglia dire questo termine nebuloso. Possiamo indignarci perché la cultura woke vuole cancellare la storia eurocentrica e coloniale giudicata offensiva verso le altre culture, gridare alla censura se vengono imposte museruole linguistiche e schwa e però poi indignarci a nostra volta se una vignetta colpisce e disprezza valori vicini a noi? «Je suis Charlie» a intermittenza.

Due sono le obiezioni da parte di chi preme per un intervento censorio: la prima è che si colpisce il cattolicesimo perché è un bersaglio facile, il che è vero per molti ma non per Charlie Hebdo, che ha pagato con vite umane l'essere odioso con qualsiasi fede, perfino con quelle che predicano il jihad. La seconda, al contrario molto ragionevole, è che nessuna libertà è assoluta, ma si deve fermare dove stabilito dalla legge, che in caso di reati ha il dovere di sanzionare. La differenza fra la reazione dei fedeli cattolici e quella dei fondamentalisti islamici sta qui: i primi si sono rivolti alla giustizia, i secondi se la sono fatta col kalashnikov. Non è poca cosa, vero. Ma l'Occidente può accontentarsi semplicemente di non essere una teocrazia sanguinaria?

Forse, una società matura e sinceramente liberale potrebbe lasciare che a fare selezione naturale di certe trivialità - se queste non trascendono nel reato, e secondo noi nel caso di Charlie Hebdo non ci sono né buon gusto, né reati - sia il comune senso del pudore. Se ci dà fastidio l'amico che accosta le divinità agli animali da cortile, prenderemo le distanze; se ci dà fastidio il giornale che insulta la Madonna, non lo compreremo e ne parleremo male.

Proprio come accade con qualsiasi cosa non ci vada a genio, dal collega interista al ristorante troppo caro. Perché la forza dell'Occidente non sta nell'elevare a valore la libertà di insolentire la religione, ma nell'accettare la maleducazione di chi lo fa senza sguinzagliare i cani per la caccia alla strega.

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