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Ci penserà il Paese reale

I quattro ministri grillini sanno che queste saranno giornate faticose.Non è solo la cappa di afa di un'estate torrida. È stare seduti lì, schiacciati tra Draghi e Conte, in un Consiglio dei ministri da boicottare senza però tirare troppo la corda.

Ci penserà il Paese reale

I quattro ministri grillini sanno che queste saranno giornate faticose. Lo sentono sulla pelle. Non è solo la cappa di afa di un'estate torrida. È stare seduti lì, schiacciati tra Draghi e Conte, in un Consiglio dei ministri da boicottare senza però tirare troppo la corda. È un esercizio da equilibristi e con questo caldo è facile scivolare. L'ideale sarebbe rinviare tutto a settembre, ma il capo del governo non ha tutta questa pazienza. La riforma della giustizia deve andare entro domenica in Parlamento e ognuno poi si assuma le proprie responsabilità. Il clima non è dei migliori. Draghi e il ministro Cartabia stanno cercando le mediazioni possibili. Nessuno dei due vuole compromettere i processi di mafia e affini. La discussione va avanti a singhiozzo. Il Consiglio dei ministri parte, si interrompe, si muovono i pontieri e dopo otto ore di trattativa si arriva a qualcosa che assomiglia a un accordo. Conte ottiene che i reati legati al 416 bis 1 del codice penale «non scadano» e che per l'aggravante mafiosa i tempi in appello non superino i cinque anni a partire dal 2025, fino ad allora saranno sei. Queste per i grillini non sono questioni tecniche. È su questi due punti che hanno fissato la loro bandiera. Il compromesso è insomma una vittoria politica di giornata. È dire soprattutto a se stessi: qualcosa abbiamo ottenuto. Non è però strategica. È un modo per digerire la riforma Cartabia, che di fatto rimette ordine sulla prescrizione dei processi dopo l'avventura di Bonafede. È una ritirata che lascia come roccaforte due simboli.

La sfida politica sulla giustizia si sta infatti svolgendo altrove. È il referendum promosso da Lega e Radicali e chiama in causa direttamente gli italiani. I sei quesiti vanno a toccare il cuore della questione: separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, custodia cautelare, il rapporto tra magistratura e politica, la gestione delle carriere. Il referendum è ormai reale. La Sicilia è la quinta regione a chiedere il voto. Ora tocca alla Cassazione fare le verifiche e alla Corte Costituzionale dare il via libera. Non sarà facile fermare tutto questo. Il referendum apre una riflessione profonda sulla giustizia in Italia. Lo fa con una forza inattesa. È un esame di coscienza per la politica, per la magistratura e per gli italiani. È uno spartiacque e le conseguenze del voto non saranno lievi.

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