Cronache

La Cina cancella anche i libri sulla democrazia

Il modus operandi dei sistemi autoritari è sempre lo stesso, in ogni epoca e latitudine. Prima dividere i movimenti di opposizione, poi screditare e colpire i capi della protesta, quindi censurare gli scritti sgraditi

La Cina cancella anche i libri sulla democrazia

Il modus operandi dei sistemi autoritari è sempre lo stesso, in ogni epoca e latitudine. Prima dividere i movimenti di opposizione, poi screditare e colpire i capi della protesta, quindi censurare gli scritti sgraditi. Un uomo che parla è pericoloso, ma i libri lo sono il doppio perché le parole le diffondo ovunque.

E così anche a Hong Kong, dove ogni giorno è sempre più a rischio l'autonomia garantita alla città dopo il ritorno alla Cina nel 1997, sancita dalla formula «Un Paese, due sistemi», sembra applicarsi il manuale del perfetto dittatore. Pochi giorni dopo che Pechino ha approvato la legge sulla sicurezza nazionale per punire «gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere» compiuti nell'ex colonia britannica, in città iniziano a sparire i libri degli attivisti pro democrazia. Censure e roghi, insegna la Storia, vanno di pari passo con le leggi liberticide. Poi si passerà alle violenze fisiche.

Il Partito comunista cinese non può perdere la partita di Hong Kong, e il pugno di ferro manifesta i suoi effetti prima di tutto sull'espressione del libero pensiero. Nel silenzio dei governi occidentali e nell'imbarazzo dei tanti intellettuali affascinati dal Paese del Dragone.

Secondo le informazioni che riescono a bucare il controllo del governo cinese, da alcune ore sugli scaffali delle biblioteche cittadine e in alcuni negozi non si trovano più libri di Joshua Wong, leader del gruppo «Demosisto» (da poco defilatosi mediaticamente per timore di essere uno dei bersagli della nuova legge), dello studioso e attivista Chin Wan e di Tanya Chan, avvocata e membro fondatore del Partito Civico, in prima fila nel movimento pro democrazia. Qualcuno ha provato a cercare sul sito web delle biblioteche pubbliche di Hong Kong i loro libri, scoprendo che non erano più disponibili (così come non erano in vendita in molte librerie). «Esamineremo se alcuni libri violano le disposizioni della legge sulla sicurezza nazionale», ha dichiarato il Dipartimento Servizi culturali che gestisce le biblioteche. «In attesa i volumi non saranno disponibili». Si chiama censura.

Del resto già nei mesi scorsi alcuni episodi avevano preparato il terremo. Alcuni librari che avevano sfidato Pechino vendendo libri critici verso la leadership cinese erano stati arrestati. Come Lam Wing-kee, poi tornano a riaprire il suo negozio, ma a Taiwan.

La lezione è un classico, nella Storia. Controllare la stampa e le pubblicazioni è uno dei sistemi per paralizzare i movimenti di protesta, disabituare la gente a parlare apertamente, dividere le opposizioni, annullare il pensiero critico. E per Hong Kong, città che ha sempre goduto non solo di una sua autonomia, ma di una indiscussa libertà culturale (qui sono alcune delle migliori università asiatiche dove si studiano argomenti invece tabù in Cina) è un nuovo choc, dopo le repressioni, le cariche della polizia, gli arresti. Non a caso Pechino ha dichiarato che vuole che l'istruzione in città, dove le manifestazioni a favore della democrazia sono in gran parte guidate da studenti, diventi più «patriottica».

Il tutto mentre l'ex colonia perde ogni giorno di più la propria autonomia e la comunità internazionale non sa cosa fare, indecisa tra l'imbarazzo e il silenzio.

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