Il meccanismo perverso che sovrintende al circuito mediatico-giudiziario che ha ridotto ai minimi termini il garantismo in questo Paese non conosce limiti. Mentre Silvio Berlusconi è ricoverato in terapia intensiva - come tutti sanno - spunta l'ultima trovata del cantastorie Salvatore Baiardo, che avrebbe parlato con Massimo Giletti di una foto del '92 che ritrarrebbe il Cav con un boss mafioso, Giuseppe Graviano e il generale dei carabinieri Francesco Delfino. Naturalmente Baiardo - che non è né un «pentito», né un informatore - ne ha smentito successivamente l'esistenza, ma intanto la pseudonotizia, in barba a ogni simulacro di segreto istruttorio, è finita nel frullatore mediatico alla vigilia della sentenza in Cassazione del processo sulla trattativa Stato-mafia nel quale il pg ha smontato le accuse contro gli imputati a cominciare da Dell'Utri.
Cose del genere possono avvenire solo in un Paese che ha trasformato la lotta alla mafia in un'ideologia, in lotta politica e in una sorgente inesauribile di sceneggiature per serie televisive in cui l'immaginifico sostituisce il rigore dell'indagine. La foto in questione in fondo fa il paio con il bacio tra Andreotti e Riina. Insomma, parodie da romanzo di scarsa qualità, tutto meno qualcosa di serio. Un approccio e uno stile che farebbero rigirare nella tomba sia Leonardo Sciascia, sia Giovanni Falcone, e che spesso hanno ridotto la giustizia ad un circo.
Questa è sicuramente una di quelle. Per anni si è dato un palcoscenico, televisivo e non, a Baiardo, che da anni lancia allusioni per ricattare e guadagnare popolarità. Per alimentare il proprio personaggio, il cantastorie ne spara una sempre più grossa, seguendo le regole del gioco al rilancio. L'assurdo è che tutti sanno che non è credibile. Gli inquirenti che lo hanno interrogato lo hanno definito «un cazzaro» - espressione letterale - fin dal primo colloquio dopo il suo arresto. Il personaggio aveva fatto sapere che aveva molte cose da dire e Giancarlo Caselli lo fece sentire. Per sondarne l'attendibilità nel primo interrogatorio lo misero alla prova chiedendogli notizie su fatti di mafia che millantava di conoscere: non tirarono fuori un ragno dal buco. Baiardo pregò di essere riascoltato. Caselli lo fece reinterrogare e alla seconda domanda chiese soldi (un miliardo di lire) per parlare di Berlusconi.
La cosa con Caselli finì lì, ma il personaggio - per quello che millantava - poteva esser ghiotto per qualche toga che puntava al bersaglio grosso, cioè al Cav. Allora, per renderlo «credibile», per anni ci sono stati magistrati che hanno tentato di farlo passare per l'uomo a cui si deve l'arresto dei Graviano. Solo che malgrado le insistenze non era vero: gli autori della cattura hanno sempre dato un'altra versione. La soffiata era arrivata da una donna di facili costumi. C'è chi dice - quelli che debbono difendere il fatto di avergli creduto - che il personaggio mescoli bugie e verità.
In realtà si tratta di bugie e ovvietà. Nel circo fa sempre comodo avere il pappagallo che ripete ciò che si vuole sentire. Il punto è che non si tratta di giustizia o di giornalismo d'inchiesta, semmai, dispiace dirlo, della loro negazione.
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