Se c'è un elemento che salta subito agli occhi nel battesimo del fuoco di ieri di Giorgia Meloni in Parlamento è la consapevolezza della gravità della situazione. Un dato che condizionerà la sua politica e il suo atteggiamento a livello internazionale e in Italia. Tutte le mosse fatte finora dal Premier sono dettate dalla coscienza che il Paese rischia davvero. Ecco perché la parola «responsabilità», pronunciata o meno, è echeggiata non poco in quell'ora di discorso, sia quando ha parlato di «bollette», sia quando ha affrontato l'emergenza «energetica». E anche la necessità di muoversi come sistema Paese, pardon, Nazione. Da qui i riferimenti al Presidente Mattarella, che si è adoperato per l'incontro con Macron, e Mario Draghi, che l'ha accreditata in Europa. Del resto la crisi e la recessione ipotecano non poco la politica economica.
Ecco perché la vera sfida del prossimo governo è proprio quella di affrontare l'emergenza in una logica che si muova in «continuità» con il governo Draghi, ma, nel contempo, non dimentichi i tratti distintivi delle politiche liberali di centrodestra per consentire alla Meloni di essere fedele a se stessa. Non è un compito semplice, necessita di molta determinazione, ma è indispensabile perché la vera differenza tra l'esecutivo precedente e il primo governo guidato da un Premier donna è il suo carattere «politico»: e ciò presuppone che persegua una ricetta che abbia un colore politico, non «tecnico» o «istituzionale», per superare la congiuntura difficile. Una ricetta che non sia folle come quella della conservatrice Truss fallita miseramente in 45 giorni in Inghilterra, ma che si muova, per fare nomi, sul solco della Thatcher o di Reagan.
Sono gli elementi identitari che ritrovi quando il Premier sostiene che il problema del «debito» si risolve scommettendo sull'Italia non con la solita «cieca austerità» ma puntando su riforme che consentano «una crescita strutturale» della nostra economia. O quando coniuga il rapporto con l'Europa non più nello schema «contro» o «fuori», ma con l'«esserci», il «contare», il farsi «rispettare». O, ancora, quando usa un sostantivo tanto caro a Draghi: «pragmatismo». L'unico che consente di introdurre nella «continuità» elementi liberali, di centrodestra senza sconfinare nell'ideologia. Il «pragmatismo» ti permette di dare una «svolta» alla politica dell'energia senza che sia più preda dell'ambientalismo ideologico. Di ipotizzare una tregua fiscale. Di dimostrare come il «reddito di cittadinanza» faccia male alla promozione dell'individuo come una scuola dove sia bandito «il merito». E quant'altro. Ma l'operazione di mettere insieme «continuità» e «identità» è semplice solo a parole. Più complicata è metterla in pratica quando le opposizioni in confusione si arroccano e la fase è drammatica. E alla fine la determinazione, la capacità di decidere te la garantisce solo la compattezza della tua maggioranza. L'equipaggio, per usare il paragone del Premier, dell'Amerigo Vespucci. È un'esigenza che il Premier deve curare, perché la partita non si gioca sui mesi o sull'anno perché in questo caso la politica del governo rischia solo di essere condizionata o di infrangersi sulla crisi, ma sull'arco di tempo di un'intera legislatura.
Già, nelle democrazie parlamentari le sfide si vincono anche grazie e soprattutto alle maggioranze su cui puoi contare in Parlamento. Un dato di cui dovrebbe prendere coscienza anche il Presidente ucraino Zelensky a cui va tutto il nostro appoggio. Ieri si è lasciato andare ad ironie su Silvio Berlusconi.
Ebbene, senza i voti in Parlamento del Cav e di Salvini ieri il governo Draghi non sarebbe mai nato e l'Italia non avrebbe aderito alle sanzioni contro la Russia, né avrebbe fornito armi. E oggi la Meloni non potrebbe continuare nella stessa politica. Sono «i fatti» che hanno consentito all'Ucraina di sopravvivere, non la retorica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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